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Appunti di Giurisprudenza on-line

Tag: abolizione sezioni distaccate

Riforma della geografia della Giustizia: Riduzione e accorpamento di 37 Tribunali e di 38 Procure, soppressione di tutte le 220 sezioni distaccate e di 674 sedi del Giudice di Pace

admin 06/07/2012

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Appunti di Giurisprudenza On-line.

Appunti, approfondimenti, blog e notizie di giurisprudenza di legittimità e di merito (prevalentemente del Tribunale di Ancona e della Corte di Appello di Ancona) per esperti e neofiti, nelle seguenti materie e discipline:

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Responsabilità del Datore di Lavoro per Omessa Formazione del lavoratore: la Cassazione conferma i Principi ConsolidatiResponsabilità del Datore di Lavoro per Omessa Formazione del lavoratore: la Cassazione conferma i Principi Consolidati
13/06/2025Cassazione Penale, Sez. 4, 22 aprile 2025, n. 15697 La Quarta Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 15697 del 22 aprile 2025, ha fornito importanti chiarimenti sulla responsabilità penale del datore di lavoro in materia di sicurezza sul lavoro, confermando principi ormai consolidati ma sempre attuali. Il Caso Un lavoratore dipendente di una ditta edile, mentre scaricava materiale da un furgone da cantiere, è rimasto vittima di un infortunio causato dalla caduta di un tubo di cemento del peso superiore ai 40 kg sulla mano sinistra. L’evento ha provocato lesioni gravi con una prognosi di 140 giorni. Il datore di lavoro A.A., legale rappresentante della società, è stato condannato per lesioni colpose ex art. 590 c.p. per aver violato gli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/2008, specificamente per: Omessa formazione del lavoratore Mancata informazione sui rischi della movimentazione manuale dei carichi Violazione degli artt. 18, 37 e 169 del Testo Unico Sicurezza I Principi Affermati dalla Cassazione 1. Posizione di Garanzia del Legale Rappresentante La Corte ha ribadito che la posizione di garanzia sussiste anche per il legale rappresentante “prestanome”. Non rileva che il soggetto non partecipi attivamente alla gestione aziendale: è sufficiente la formale investitura della carica per configurare la responsabilità. Come chiarito dalla sentenza: “la posizione di garanzia in tema di debito di sicurezza antinfortunistica deve essere riferita anche solo alla assunzione della carica di legale rappresentante della società”. 2. Prevedibilità e Prevenibilità dell’Evento La Cassazione ha confermato che l’infortunio era prevedibile e prevenibile attraverso un’adeguata formazione del lavoratore. Non costituisce circostanza imprevedibile che materiale accatastato possa scivolare durante le operazioni di scarico. Il ragionamento della Corte è lineare: “ove il lavoratore fosse stato correttamente istruito sulle modalità di movimentazione manuale dei carichi l’infortunio non si sarebbe verificato”. 3. Nesso Causale tra Omessa Formazione e Infortunio Elemento centrale della decisione è il nesso causale tra l’omessa formazione e l’evento lesivo. La Cassazione ha precisato che il datore di lavoro risponde dell’infortunio quando l’omessa formazione può dirsi causalmente legata alla verificazione dell’evento. Gli Obblighi di Formazione nel D.Lgs. 81/2008 La sentenza richiama puntualmente le definizioni normative: Formazione: processo educativo per trasferire conoscenze e competenze per lo svolgimento sicuro dei compiti Informazione: attività dirette a fornire conoscenze per identificare e gestire i rischi Addestramento: attività per apprendere l’uso corretto di attrezzature e procedure L’art. 37 del D.Lgs. 81/2008 stabilisce che formazione, informazione e addestramento devono avvenire: Alla costituzione del rapporto di lavoro In caso di trasferimento o cambio mansioni Con l’introduzione di nuove attrezzature o tecnologie Considerazioni Pratiche Questa pronuncia conferma l’orientamento rigoroso della giurisprudenza di legittimità e offre spunti di riflessione per la pratica professionale: Non basta la delega formale: il legale rappresentante mantiene la posizione di garanzia salvo delega effettiva delle funzioni prevenzionistiche La formazione deve essere specifica: non è sufficiente una formazione generica, ma occorre istruire il lavoratore sui rischi specifici delle mansioni assegnate Il nesso causale va dimostrato: l’omessa formazione deve essere causalmente collegata all’evento lesivo secondo i criteri della causalità scientifica Conclusioni La sentenza n. 15697/2025 non introduce novità interpretative ma consolida principi fondamentali della responsabilità datoriale. Il messaggio è chiaro: la sicurezza sul lavoro non ammette scorciatoie e gli obblighi formativi costituiscono presidio essenziale per la tutela dell’incolumità dei lavoratori. Per i datori di lavoro, la pronuncia rappresenta un monito a non sottovalutare gli adempimenti formativi, che devono essere concreti, specifici e documentabili. Per i professionisti del diritto, conferma la necessità di un approccio rigoroso nella valutazione della responsabilità penale in materia di sicurezza sul lavoro. Per approfondimenti sulla sicurezza sul lavoro e la responsabilità datoriale, consulta le altre sezioni del blog o contatta lo studio per una consulenza specializzata. […] Read more…
Patrocinio a Spese dello Stato 2025 per le cause penali: Guida Completa alle FAQ per il Gratuito PatrocinioPatrocinio a Spese dello Stato 2025 per le cause penali: Guida Completa alle FAQ per il Gratuito Patrocinio
13/06/2025Aggiornato al 13 giugno 2025 Il patrocinio a spese dello Stato rappresenta un diritto fondamentale per garantire l’accesso alla giustizia anche nel processo penale. Questa guida risponde alle domande più frequenti sui requisiti, procedure e limiti per ottenere l’assistenza legale gratuita nei procedimenti penali. FAQ – Domande Frequenti sul Patrocinio a Spese dello Stato nel Penale 1. Chi può richiedere il patrocinio a spese dello Stato nel penale? Possono presentare domanda: Cittadini italiani (inclusi liberi professionisti e titolari di partita IVA) Cittadini stranieri regolarmente presenti sul territorio nazionale Apolidi con regolare permesso di soggiorno Persone offese che si costituiscono parte civile Responsabili civili citati nel processo penale 2. A chi si presenta la domanda di ammissione nel penale? La richiesta va presentata direttamente all’Autorità Giudiziaria procedente: Nelle indagini preliminari: al Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) Nell’udienza preliminare: al Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) Nel dibattimento: al Giudice del dibattimento (Tribunale monocratico o collegiale) In appello: alla Corte di Appello In Cassazione: al giudice che ha emesso la sentenza impugnata (Tribunale o Corte di Appello) L’Autorità Giudiziaria verifica l’ammissibilità e concede l’ammissione se sussistono i requisiti reddituali. 3. Per quali fasi del processo penale vale l’ammissione? L’ammissione al beneficio è valida per: Indagini preliminari Udienza preliminare Dibattimento di primo grado Appello Cassazione Procedure esecutive (esecuzione della pena) Procedure incidentali connesse al processo principale 4. Da quando decorrono gli effetti dell’ammissione nel penale? Gli effetti dell’ammissione retroagiscono al momento della presentazione della domanda, coprendo anche le attività già svolte dal difensore. 5. Chi è escluso dal beneficio nel penale? Sono esclusi i soggetti condannati con sentenza definitiva per i reati indicati nell’art. 76, comma 4-bis, del D.P.R. 115/2002: Art. 416 bis c.p. (Associazioni di tipo mafioso) Art. 291 quater D.P.R. 23/01/73 n.43 (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando) Art. 73 D.P.R. 309/1990 (Traffico di stupefacenti – ipotesi aggravate) Art. 74 D.P.R. 309/1990 (Associazione finalizzata al traffico di stupefacenti) Reati commessi con metodo mafioso 6. Qual è il limite di reddito per il penale? ⚠ Importante: Il limite base è di € 12.838,01 (D.M. 10 maggio 2023), ma nel processo penale il limite è aumentato di € 1.032,91 per ogni familiare convivente. Esempio: Nucleo familiare di 3 persone: € 12.838,01 + (2 × € 1.032,91) = € 14.903,83 È fondamentale verificare presso l’Autorità Giudiziaria competente eventuali aggiornamenti per il 2025. 7. Eccezioni al limite di reddito nel penale Sono ammessi al PSS a prescindere dal reddito le vittime dei seguenti reati: Maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) Violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) Atti persecutori – stalking (art. 612 bis c.p.) Riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) Prostituzione e pornografia minorile (artt. 600 bis, ter c.p.) Tratta di persone (art. 601 c.p.) Altri reati del “codice rosso” 8. Quale dichiarazione dei redditi è rilevante? È rilevante l’ultima dichiarazione per la quale, al momento del deposito dell’istanza, è maturato l’obbligo di presentazione. 9. Chi non presenta la dichiarazione dei redditi deve comunque autocertificare? Sì. Indipendentemente dall’obbligo di presentazione della dichiarazione, tutti devono autocertificare i redditi rilevanti ai fini dell’ammissione. 10. Come si autocertificano i redditi? L’autocertificazione deve avvenire secondo le forme previste dall’art. 46 del D.P.R. 445/2000, utilizzando gli appositi moduli disponibili presso le cancellerie dei tribunali. 11. Quali redditi sono rilevanti per l’ammissione nel penale? Si considerano tutti i redditi, inclusi: Redditi imponibili IRPEF: Redditi da lavoro dipendente e autonomo Redditi d’impresa Redditi fondiari Redditi esenti o a tassazione separata: Pensioni sociali e rendite INAIL Assegni per invalidi civili Pensione e indennità di accompagnamento ciechi civili Pensione e indennità di accompagnamento per altri invalidità civili Assegno di separazione, divorzio, annullamento a favore del coniuge Reddito di cittadinanza Reddito di inclusione Interessi bancari, postali Interessi Certificati di deposito Rendite da BOT/CCT/CTZ/BTP Interessi percepiti da Banche/Poste Capital Gain su operazioni di borsa Dividendi/Cedole Proventi da partecipazione a fondi d’investimento Proventi da ETF Canoni di locazione (anche con cedolare secca) Assegni di mantenimento Assegno unico universale Borse di studio universitarie Proventi da vendita di immobili acquistati/costruiti da non più di 5 anni o non adibiti ad abitazione principale Proventi da vendita di immobili situati all’estero Vincite lotterie, concorsi a premi, giochi, scommesse Non rileva: Assegno di divorzio una tantum Proventi da vendita di immobili pervenuti per successione o donazione Proventi da vendita di immobili acquistati/costruiti da più di 5 anni o adibiti ad abitazione principale 12. L’ISEE è rilevante per l’ammissione al Gratuito Patrocinio nel penale? No. L’indicatore ISEE non è considerato ai fini della valutazione del reddito. 13. Si considera il reddito dell’intero nucleo familiare nel penale? Sì. Il reddito rilevante è la somma dei redditi di tutti i componenti della famiglia conviventi, compreso il richiedente. 14. Quando si considera solo il reddito personale nel penale? Si valuta esclusivamente il reddito personale quando: Sono in causa diritti della personalità Gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri familiari conviventi Nel caso di procedimenti per reati familiari dove gli interessi sono contrapposti 15. Rileva il reddito del convivente di fatto nel penale? Sì. Secondo gli artt. 76 e 79 del D.P.R. 115/2002, rileva la convivenza stabile e continuativa, anche di fatto, non solo quella risultante dalla residenza anagrafica. 16. Per i cittadini extracomunitari, quali redditi si considerano nel penale? Si considerano tutti i redditi, sia quelli prodotti in Italia che quelli eventualmente conseguiti all’estero. 17. È sufficiente l’autocertificazione per i redditi esteri nel penale? No. Occorre produrre: Certificato consolare del reddito conseguito all’estero, oppure Richiesta al Consolato con attestazione di invio (PEC o raccomandata A/R) da almeno 30 giorni 18. Cosa copre il patrocinio nel processo penale? Sono coperte dall’Erario: Onorario e spese spettanti al difensore Spese di notifica Tassa di registro Diritti di cancelleria Spese per investigazioni difensive Non sono coperte: Attività stragiudiziale non propedeutica al processo Spese di trasferta Condanna alle spese processuali in caso di soccombenza 19. È possibile avere due difensori con il patrocinio nel penale? No. L’art. 91 del D.P.R. 115/2002 esclude l’ammissione con più difensori. Gli effetti cessano dal momento della nomina di un secondo difensore (Cass. n. 1736/2020). 20. Come si richiede per la costituzione di parte civile? La persona offesa che intende costituirsi parte civile deve: Presentare istanza separata per il patrocinio Dimostrare i requisiti reddituali (salvo eccezioni per vittime di reati del “codice rosso“) Indicare i danni subiti e le ragioni della costituzione 21. Cosa succede in caso di patteggiamento? Il patrocinio copre anche: Negoziazioni per il patteggiamento Udienza di applicazione della pena su richiesta 22. È valido per i procedimenti davanti al Giudice di Pace? Sì, il patrocinio è ammesso anche per i procedimenti penali davanti al Giudice di Pace per i reati di loro competenza. Obblighi del Beneficiario nel Processo Penale ⚠ Importante: Il beneficiario deve comunicare annualmente all’Autorità Giudiziaria procedente (via raccomandata A/R) eventuali variazioni di reddito che superino i limiti previsti, fino alla definizione del processo. Il cliente è informato che: Deve comunicare personalmente all’Autorità Giudiziaria le variazioni di reddito È necessario un preventivo controllo dei dati autocertificati L’ammissione è sempre soggetta a verifica da parte dell’Autorità Giudiziaria Raccomandazioni Professionali Data la complessità della normativa penale e le frequenti modifiche, è sempre consigliabile consultare un avvocato penalista per valutare la propria situazione specifica. Prima di presentare la domanda, verificare sempre: I limiti di reddito attualmente in vigore La documentazione necessaria specifica per il tipo di procedimento I termini per la presentazione dell’istanza La competenza dell’Autorità Giudiziaria procedente Riferimenti Normativi Principali D.P.R. 115/2002 (Testo Unico Spese di Giustizia) D.P.R. 445/2000 (Autocertificazione) Codice di Procedura Penale (artt. 97-98) D.M. 10 maggio 2023 (Limiti di reddito) Art. 24, comma 3 Costituzione Per assistenza nella predisposizione della domanda di patrocinio a spese dello Stato per cause penali e consulenza legale specializzata, contatta il nostro studio. Materie trattate: l’Avv. Andrea Rossolini si occupa di assistenza giudiziaria nelle seguenti materie: Diritto Civile, Diritto di Famiglia, Volontaria Giurisdizione, Diritto Penale, Diritto delle Esecuzioni. Maggiori informazioni sono reperibili nel sito web www.rossolini.net. Keywords: patrocinio spese stato penale 2025, gratuito patrocinio processo penale, assistenza legale gratuita penale, difensore d’ufficio, parte civile gratuito patrocinio […] Read more…
Patrocinio a Spese dello Stato 2025 per le cause civili: Guida Completa alle FAQ per il Gratuito Patrocinio.Patrocinio a Spese dello Stato 2025 per le cause civili: Guida Completa alle FAQ per il Gratuito Patrocinio.
12/06/2025Aggiornato al 12 giugno 2025 Il patrocinio a spese dello Stato rappresenta un diritto fondamentale per garantire l’accesso alla giustizia. Questa guida risponde alle domande più frequenti sui requisiti, procedure e limiti per ottenere l’assistenza legale gratuita. FAQ – Domande Frequenti sul Patrocinio a Spese dello Stato 1. Chi può richiedere il patrocinio a spese dello Stato? Possono presentare domanda: Cittadini italiani (inclusi liberi professionisti e titolari di partita IVA) Cittadini stranieri regolarmente presenti sul territorio nazionale Apolidi con regolare permesso di soggiorno Enti no-profit e associazioni senza scopo di lucro 2. Dove si presenta la domanda di ammissione? La richiesta va presentata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del luogo dove: Ha sede il magistrato davanti al quale pende il processo, oppure Ha sede il magistrato competente per il merito (se il processo non è ancora iniziato) Il Consiglio verifica l’ammissibilità e concede l’ammissione anticipata e provvisoria se sussistono i requisiti reddituali e la pretesa non appare manifestamente infondata. 3. Per quali fasi processuali vale l’ammissione? L’ammissione al beneficio è valida per: Ogni grado di giudizio Tutte le fasi processuali Procedure derivate e accessorie connesse alla causa principale 4. Da quando decorrono gli effetti dell’ammissione? Gli effetti dell’ammissione retroagiscono al momento della presentazione della domanda. 5. Chi è escluso dal beneficio? Sono esclusi i soggetti condannati con sentenza definitiva per i reati indicati nell’art. 76, comma 4-bis, del D.P.R. 115/2002 ovvero: per i reati di cui agli artt. 416 bis c.p. (Associazioni di tipo mafioso), 291 quater D.P.R. 23/01/73 n.43 (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri), 73 D.P.R. 09/10/1990, n.309 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art.80, e 74 co.1 D.P.R. 09/10/1990, n.309 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art.416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo. 6. Per quali cause è escluso il patrocinio? Il beneficio è escluso nelle cause per cessione di crediti, salvo quando la cessione sia chiaramente avvenuta per pagamento di crediti preesistenti (art. 121 D.P.R. 115/2002). 7. Qual è il limite di reddito per accedere al beneficio? ⚠️ Importante: Il limite di reddito è soggetto ad aggiornamenti periodici tramite decreto ministeriale. L’ultimo limite pubblicato è di € 12.838,01 (D.M. 10 maggio 2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 6 giugno 2023). Tuttavia, è fondamentale verificare presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente l’eventuale presenza di decreti ministeriali più recenti che abbiano aggiornato tale soglia per il 2025. 8. Quale dichiarazione dei redditi è rilevante? È rilevante l’ultima dichiarazione per la quale, al momento del deposito dell’istanza, è maturato l’obbligo di presentazione. 9. Chi non presenta la dichiarazione dei redditi deve comunque autocertificare? Sì. Indipendentemente dall’obbligo di presentazione della dichiarazione, tutti devono autocertificare i redditi rilevanti ai fini dell’ammissione. 10. Come si autocertificano i redditi? L’autocertificazione deve avvenire secondo le forme previste dall’art. 46 del D.P.R. 445/2000, utilizzando gli appositi moduli disponibili sui siti degli Ordini degli Avvocati. 11. Quali redditi sono rilevanti per l’ammissione? Si considerano tutti i redditi, inclusi: Redditi imponibili IRPEF: Redditi da lavoro dipendente e autonomo Redditi d’impresa Redditi fondiari Redditi esenti o a tassazione separata: Pensioni sociali e rendite INAIL Assegni per invalidi civili Reddito di cittadinanza Interessi bancari e postali Rendite da BOT/BTP Canoni di locazione (anche con cedolare secca) Assegni di mantenimento Borse di studio universitarie Vincite da giochi e lotterie Non rileva: l’indennità di accompagnamento. 12. L’ISEE è rilevante per l’ammissione al Gratuito Patrocinio? No. L’indicatore ISEE non è considerato ai fini della valutazione del reddito. 13. Si considera il reddito dell’intero nucleo familiare? Sì. Il reddito rilevante è la somma dei redditi di tutti i componenti della famiglia conviventi, compreso il richiedente. 14. Quando si considera solo il reddito personale? Si valuta esclusivamente il reddito personale quando: Sono in causa diritti della personalità Gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri familiari conviventi Nei giudizi di separazione e divorzio, sono considerati in conflitto solo gli interessi del coniuge (Cass. 26.7.2019, n. 20385). 15. Rileva il reddito del convivente di fatto? Sì. Secondo gli artt. 76 e 79 del D.P.R. 115/2002, rileva la convivenza stabile e continuativa, anche di fatto, non solo quella risultante dalla residenza anagrafica. 16. Per i cittadini extracomunitari, quali redditi si considerano? Si considerano tutti i redditi, sia quelli prodotti in Italia che quelli eventualmente conseguiti all’estero. 17. È sufficiente l’autocertificazione per i redditi esteri? No. Occorre produrre: Certificato consolare del reddito conseguito all’estero, oppure Richiesta al Consolato con attestazione di invio (PEC o raccomandata A/R) da almeno 30 giorni 18. Cosa deve allegare l’amministratore di sostegno? Deve produrre l’autorizzazione del Giudice Tutelare ad agire in giudizio e a nominare un difensore. 19. L’avvocato amministratore di sostegno può difendere il beneficiario? Sì, ma deve ottenere specifica autorizzazione del Giudice Tutelare ad agire anche in qualità di difensore. 20. Cosa serve per le separazioni personali? È necessario indicare: Ultima residenza comune dei coniugi In mancanza, residenza o domicilio del coniuge convenuto Allegare estratto per riassunto del matrimonio 21. Cosa serve per i divorzi? Occorre allegare il provvedimento di separazione (sentenza, decreto di omologa o accordo di negoziazione assistita). 22. Come si valuta la non manifesta infondatezza? L’istante deve indicare: Enunciazioni in fatto e diritto della pretesa Prove specifiche da ammettere Documentazione a supporto (lettere di messa in mora, comparsa di costituzione, ecc.) 23. È possibile per la negoziazione assistita? No. Il patrocinio a spese dello Stato non è ammesso per le procedure di negoziazione assistita. 24. È possibile per la mediazione? No. Per la mediazione non sussiste competenza del Consiglio dell’Ordine. È possibile richiedere solo l’esenzione delle spese agli organismi di conciliazione accreditati. 25. È compatibile con due difensori? No. L’art. 91 del D.P.R. 115/2002 esclude l’ammissione con più difensori. Gli effetti cessano dal momento della nomina di un secondo difensore (Cass. n. 1736/2020). 26. La curatela fallimentare deve presentare istanza? No. L’ammissione avviene d’ufficio su decreto del Giudice Delegato che attesta l’indisponibilità di denaro per le spese (art. 144 D.P.R. 115/2002). Obblighi del Beneficiario ⚠️ Importante: Il beneficiario deve comunicare annualmente all’Autorità Giudiziaria (via raccomandata A/R) eventuali variazioni di reddito che superino i limiti previsti, fino alla definizione del processo. Raccomandazioni Professionali Data la complessità della normativa e le frequenti modifiche, è sempre consigliabile consultare un avvocato per valutare la propria situazione specifica e predisporre correttamente la documentazione necessaria. Prima di presentare la domanda, verificare sempre presso il Consiglio dell’Ordine competente i limiti di reddito attualmente in vigore. Riferimenti Normativi Principali D.P.R. 115/2002 (Testo Unico Spese di Giustizia) D.P.R. 445/2000 (Autocertificazione) D.M. 23 luglio 2020 (Ultimo limite pubblicato) Art. 706 c.p.c. (Competenza separazioni) Per assistenza nella predisposizione della domanda di patrocinio a spese dello Stato e consulenza legale specializzata, contatta il nostro studio. Keywords: patrocinio spese stato 2025, gratuito patrocinio, assistenza legale gratuita, requisiti reddito, domanda ammissione, avvocato d’ufficio […] Read more…
Cassazione 14927/25: Revenge Porn anche con foto anonime – Nuova importante sentenzaCassazione 14927/25: Revenge Porn anche con foto anonime – Nuova importante sentenza
27/05/2025La Suprema Corte stabilisce: diffondere immagini intime di altri è reato di revenge porn anche quando inviate anonimamente e in assenza di sequestro del materiale. La recente sentenza 14927/25 amplia la tutela delle vittime. I fatti e il procedimento Il caso riguarda un soggetto condannato per aver diffuso immagini a contenuto sessualmente esplicito di una persona con cui aveva avuto una relazione. La Corte d’Appello di Milano aveva confermato la condanna di primo grado, e l’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione articolando tre motivi di impugnazione. I motivi del ricorso e le decisioni della Corte Primo motivo: riconoscibilità della persona ritratta Il ricorrente sosteneva che dalle immagini inviate non si potesse desumere che la persona ritratta fosse la persona offesa. La Corte ha dichiarato inammissibile questo motivo, ritenendo che: La riconoscibilità era stata ragionevolmente desunta dalla lunga conversazione tra l’imputato e il destinatario I riferimenti alla fine della relazione con la vittima denotavano la consapevolezza dell’identità della donna ritratta Principio importante: La Corte ha inoltre precisato che il delitto di “revenge porn” è integrato anche quando la persona offesa non sia riconoscibile dalle immagini diffuse. La norma tutela infatti la sfera di intimità e la privacy, intesa come diritto a controllare l’esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un’ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale. Secondo motivo: acquisizione delle prove Il ricorrente contestava le modalità di acquisizione degli screenshot delle conversazioni. La Corte ha respinto il motivo, chiarendo che: Lo screenshot era stato fornito dalla stessa persona offesa Non si configurava una violazione della segretezza della corrispondenza ex art. 15 Cost. Le dichiarazioni convergenti della vittima e di altri testimoni erano comunque sufficienti per l’affermazione della responsabilità Terzo motivo: remissione tacita della querela Il ricorrente sosteneva che la mancata comparizione della persona offesa in udienza equivalesse a remissione tacita della querela. La Corte ha respinto anche questo motivo, stabilendo un importante principio: Principio di diritto: La remissione tacita della querela che si realizza quando il querelante non compare all’udienza in cui è citato come testimone (art. 152, comma 3, n. 1, cod. pen.) non può essere equiparata alla mancata partecipazione della persona offesa al dibattimento quando le parti hanno dato consenso all’acquisizione delle sue dichiarazioni rese durante le indagini preliminari. Conclusioni La sentenza, depositata il 25 marzo 2025, rappresenta un importante precedente in materia di “revenge porn“, chiarendo che: Il reato sussiste anche quando la persona ritratta non è riconoscibile La tutela della privacy e dell’autodeterminazione sessuale è assoluta La remissione tacita della querela ha limiti precisi e non può essere estesa oltre i casi previsti dalla legge Questa decisione rafforza la protezione delle vittime di diffusione non consensuale di immagini intime, confermando l’orientamento della giurisprudenza verso una tutela sempre più efficace della dignità personale nell’era digitale. La mia attività professionale come avvocato penalista ad Ancona Come Avvocato Cassazionista con esperienza in diritto penale, esercito la mia professione davanti al Tribunale e alla Corte d’Appello di Ancona, garantendo ai miei assistiti una difesa tecnica aggiornata alle più recenti evoluzioni giurisprudenziali in materia di reati informatici e contro la persona, come dimostra questa importante sentenza della Cassazione sul revenge porn. La mia esperienza nel campo del diritto penale, con particolare attenzione ai reati di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (revenge porn), violenza di genere e reati informatici, mi consente di offrire un’assistenza qualificata in procedimenti complessi come quelli relativi alla tutela della privacy e della dignità personale. La difesa in questi ambiti richiede competenze specifiche e una profonda conoscenza dei principi giuridici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. Oltre ai procedimenti in materia di revenge porn, mi occupo di difesa in processi per maltrattamenti, stalking, minacce, violenza sessuale e altri reati contro la persona, sempre con un approccio attento alle esigenze del cliente e alle peculiarità del caso concreto, garantendo massima riservatezza e sensibilità. Se avete bisogno di assistenza legale in materia di reati informatici, revenge porn o altri reati contro la persona, sono a vostra disposizione per una consulenza personalizzata presso il mio studio legale ad Ancona, dove potrete ricevere un’assistenza professionale e aggiornata alle più recenti evoluzioni giurisprudenziali. Questo articolo ha scopo informativo e non costituisce consulenza legale. Per un parere professionale sul vostro caso specifico, vi invito a contattare il mio studio. […] Read more…
Guida alle Aste Giudiziarie: perché Affidarsi a un Avvocato con esperienza?Guida alle Aste Giudiziarie: perché Affidarsi a un Avvocato con esperienza?
20/05/2025Le domande più comuni (FAQ) sulle aste giudiziarie Che cos’è l’espropriazione immobiliare? L’espropriazione immobiliare rappresenta una procedura legale che consente a un creditore munito di un titolo esecutivo (decreto ingiuntivo, sentenza, ecc.) di ottenere ciò che gli è dovuto attraverso la vendita coattiva dei beni del debitore. Questo articolo esplora i vari aspetti di questa procedura, dalla normativa di riferimento alle modalità di partecipazione alle aste giudiziarie. Aspetti legali dell’espropriazione immobiliare Normativa di riferimento L’espropriazione immobiliare è regolata dall’art. 2910 del codice civile, con regole specifiche stabilite dal codice di rito (procedura civile). Oggetto dell’espropriazione La procedura di esproprio può coinvolgere: Il diritto di proprietà (piena proprietà) I diritti di usufrutto e di superficie su beni immobili Le pertinenze I frutti pendenti, naturali e civili I mobili che arredano i beni immobili Chi può richiedere l’espropriazione L’espropriazione immobiliare può essere richiesta da un creditore per recuperare il proprio credito. Il pignoramento immobiliare Il pignoramento immobiliare è l’atto con il quale inizia l’espropriazione immobiliare. Quando si verifica Il pignoramento di un immobile si verifica quando il debitore non è in grado di (o non vuole) pagare i suoi debiti e il creditore ha ottenuto un titolo esecutivo (ad esempio un decreto ingiuntivo o una sentenza di una causa civile o penale) che attesta l’obbligo del debitore di pagare. Beni in comproprietà Quando un’azione esecutiva colpisce integralmente un immobile che il debitore possiede in regime di comunione con altri soggetti, la procedura impone specifici adempimenti formali. In particolare, l’atto di pignoramento deve essere formalmente notificato non solo al debitore esecutato, ma anche a tutti i comproprietari dell’immobile oggetto della procedura. Parallelamente, la nota di trascrizione del pignoramento presso i registri immobiliari deve riportare, tra i soggetti “contro” i quali essa viene eseguita, non solo il debitore principale ma anche tutti i comproprietari del bene. Questa disposizione trova frequente applicazione nel caso dei beni in comunione legale tra coniugi, dove l’immobile, pur essendo pignorato per debiti riferibili a uno solo dei coniugi, richiede il coinvolgimento formale di entrambi nella procedura esecutiva. Tale meccanismo procedurale garantisce la corretta pubblicità dell’azione esecutiva e tutela i diritti di tutti i soggetti coinvolti nella comunione del bene. La vendita all’asta Definizione di asta giudiziaria L’asta giudiziaria si configura come la fase culminante del procedimento esecutivo, finalizzata alla monetizzazione del patrimonio del debitore attraverso un meccanismo di vendita pubblica. La procedura d’asta è strutturata per garantire la massima valorizzazione economica dei beni oggetto di vendita, attraverso un sistema di offerte competitive. Il ricavato dell’alienazione forzosa viene destinato al soddisfacimento, totale o parziale, delle pretese creditorie avanzate sia dai creditori che hanno dato impulso alla procedura esecutiva, sia da quelli che sono successivamente intervenuti nel processo, secondo l’ordine di priorità stabilito dalla legge. L’asta giudiziaria costituisce, pertanto, il punto di equilibrio tra l’interesse del creditore alla realizzazione del proprio diritto e la necessità di garantire che la liquidazione del patrimonio del debitore avvenga secondo criteri di trasparenza e massimizzazione del valore. Documenti ufficiali della vendita I documenti ufficiali della vendita sono: Ordinanza: è il provvedimento con cui il Giudice dell’Esecuzione ordina la vendita del bene all’asta, stabilendone tempi e modalità e ne definisce dettagliatamente l’intero quadro operativo. In particolare, l’ordinanza determina la tempistica della procedura d’asta, stabilendo le date di esperimento dei tentativi di vendita, e ne disciplina le modalità attuative, definendo aspetti quali la base d’asta, le forme di pubblicità, i requisiti per la partecipazione e le condizioni di aggiudicazione. Avviso di vendita: è l’atto redatto e pubblicato dal professionista delegato alla vendita (nominato dal Giudice dell’Esecuzione) che contiene informazioni essenziali come la descrizione del bene, la data e l’ora dell’asta, la sede dell’asta, i requisiti per partecipare e il prezzo base di vendita. Questo documento rappresenta, pertanto, il principale veicolo informativo attraverso cui la procedura esecutiva si apre al mercato, consentendo la più ampia partecipazione dei potenziali acquirenti. Perizia di stima: è il documento redatto da un perito che valuta il valore del bene che sarà messo all’asta. Tipologie di vendita Vendita senza incanto Per partecipare alla vendita senza incanto, è necessario presentare un’offerta in busta chiusa o criptata (se telematica), che non può essere inferiore al 75% del valore base. È obbligatorio allegare una cauzione di almeno il 10% dell’importo offerto. Se ci sono più offerte valide, viene indetta una gara competitiva fra coloro che sono stati ammessi a partecipare, sulla base dell’offerta più alta pervenuta. Nella vendita senza incanto l’aggiudicazione è sempre definitiva. Vendita con incanto Durante una vendita con incanto è necessario presentare una domanda di partecipazione in busta chiusa o criptata (se telematica). Se ci sono più partecipanti, si svolgerà una gara con rilanci minimi prestabiliti. In una vendita con incanto l’aggiudicatario è sempre provvisorio. Ai sensi dell’art. 584 del Codice di Procedura Civile, dopo la gara, si apre un periodo di 10 giorni durante il quale chiunque può presentare una nuova offerta, purché sia superiore di almeno un quinto rispetto al prezzo raggiunto nell’asta. Questa fase, nota come “offerta in aumento del quinto”, permette ulteriori rilanci anche dopo la conclusione dell’asta principale. Se non vengono presentate offerte migliorative nei 10 giorni, l’aggiudicazione diventa definitiva. In caso contrario, viene indetta una nuova gara tra l’aggiudicatario provvisorio e chi ha presentato l’offerta migliorativa, anche gli offerenti al precedente incanto che, entro il termine fissato dal giudice, abbiano integrato la cauzione. Vendita diretta Con la cosiddetta ‘Riforma Cartabia’ (Decreto Legislativo n. 149 del 10 ottobre 2022) sono stati inseriti nel codice di procedura civile due nuovi articoli, il 568 bis e il 569 bis, che permettono ora al soggetto esecutato di inoltrare richiesta al Giudice dell’Esecuzione per effettuare autonomamente la vendita dell’immobile sottoposto a pignoramento, a patto che il corrispettivo non sia inferiore al valore stabilito dal perito nella sua relazione. Finanziamento e spese Possibilità di richiedere un mutuo È possibile richiedere un mutuo per comprare un immobile all’asta. È stata definita tra l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e i Tribunali una “Convenzione per l’erogazione dei mutui agli aggiudicatari”, in virtù della quale la stipula dell’atto di mutuo con concessione dell’ipoteca avviene contestualmente al decreto di trasferimento. Spese che gravano sul bene in vendita Consultando la perizia di stima del bene, è possibile verificare se ci sono eventuali formalità o vincoli che gravano sul bene, opere abusive, spese di gestione o manutenzione, e spese condominiali non pagate. Modalità di partecipazione alle aste Chi può partecipare Qualsiasi persona fisica o giuridica, ad eccezione del debitore e dei soggetti di cui all’articolo 1471 del codice civile, può partecipare all’asta personalmente o a mezzo di mandatario munito di procura speciale. Aste telematiche Vendita sincrona telematica Una vendita sincrona telematica è una tipologia di vendita che si svolge interamente online, in cui il referente della procedura e tutti gli offerenti sono connessi contemporaneamente da remoto. Vendita sincrona mista Una vendita sincrona mista consente la presentazione delle offerte, la partecipazione e la possibilità di effettuare rilanci sia in modalità telematica che in presenza fisica davanti al referente della vendita. Vendita asincrona telematica La vendita asincrona telematica si riferisce ad un processo di vendita che si svolge online in un periodo temporale prestabilito durante il quale è sempre possibile effettuare i rilanci. Strumenti necessari per le vendite telematiche Per partecipare alle vendite telematiche gestite secondo le modalità tecniche del D.M. n. 32/2015 sono necessari due strumenti principali: la firma digitale e la PEC. Dopo l’aggiudicazione Versamento del saldo La normativa prevede che il versamento del saldo debba avvenire nel rispetto del termine perentorio stabilito nell’ordinanza di vendita emessa dal Giudice dell’Esecuzione. In assenza di specifiche disposizioni, tale termine è fissato in 120 giorni decorrenti dalla data di aggiudicazione definitiva. Tuttavia, questo intervallo temporale può subire variazioni in due ipotesi: qualora l’ordinanza di vendita preveda espressamente un termine più breve, oppure nel caso in cui sia lo stesso offerente a indicare, in sede di presentazione dell’offerta, la propria disponibilità ad effettuare il pagamento in un arco temporale inferiore. Il mancato rispetto del termine per il versamento del saldo prezzo determina conseguenze gravose per l’aggiudicatario inadempiente: la decadenza dall’aggiudicazione, con conseguente inefficacia del trasferimento del bene, e la perdita della cauzione precedentemente versata, che viene incamerata dalla procedura a titolo di penale e altre severe conseguenze le cui reali dimensioni trascendono significativamente la comune percezione diffusa tra gli operatori del settore e i potenziali acquirenti. Questo rigoroso meccanismo sanzionatorio è posto a tutela dell’efficienza della procedura esecutiva e dell’affidamento dei creditori sulla tempestiva conclusione della fase liquidatoria. Conclusione L’espropriazione immobiliare è una procedura complessa che richiede una buona conoscenza delle normative e delle procedure. Questo articolo ha fornito una panoramica generale, ma per casi specifici è sempre consigliabile consultare un professionista del settore. Perché scegliere un avvocato con esperienza nelle aste giudiziarie? La scelta di affidarsi a un avvocato con esperienza in aste giudiziarie, come l’Avvocato Andrea Rossolini, Professionista Delegato del Tribunale di Ancona ex art. 179-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, offre vantaggi sostanziali che derivano direttamente dai principi deontologici ed etici che regolano la professione forense: 1. Obbligo di indipendenza e assenza di conflitti di interesse L’avvocato è tenuto per legge e per codice deontologico a operare nell’esclusivo interesse del proprio cliente. Questo significa che, a differenza di altri intermediari che potrebbero rappresentare contemporaneamente più acquirenti interessati allo stesso immobile, l’avvocato garantisce una rappresentanza esclusiva e leale, senza conflitti di interesse. 2. Obbligo di riservatezza e segreto professionale Le informazioni condivise con un avvocato sono protette dal segreto professionale. Questo permette al cliente di discutere apertamente la propria strategia d’acquisto, la disponibilità economica e altri dettagli sensibili, con la certezza che tali informazioni non saranno utilizzate a suo svantaggio o condivise con terzi. 3. Responsabilità professionale e assicurazione obbligatoria Gli avvocati sono soggetti a responsabilità professionale e devono obbligatoriamente stipulare un’assicurazione che tutela i clienti in caso di errori. Questo offre una garanzia concreta che altri intermediari potrebbero non fornire con lo stesso livello di protezione. 4. Esperienza e Formazione giuridica continua La professione forense richiede un aggiornamento costante. Un avvocato con esperienza in aste giudiziarie, come l’Avvocato Rossolini, possiede una formazione giuridica approfondita che gli consente di interpretare correttamente la complessa normativa che regola le procedure esecutive. 5. Rapporto professionale con gli organi della procedura Nel contesto di una procedura giudiziaria, la figura dell’avvocato si distingue nettamente dagli altri operatori del settore immobiliare. Un avvocato ha un rapporto professionale e qualificato con tutti gli attori coinvolti nella procedura (custode, delegato alle vendite, esperto stimatore, giudice delle esecuzioni). Questo facilita la comunicazione e la risoluzione di eventuali problematiche e criticità emergente durante l’iter procedurale. Perché scegliere un avvocato con esperienza nelle aste giudiziarie? “Perché dovrei pagare per un servizio che potrei gestire autonomamente?” È una domanda legittima, ma che sottovaluta i rischi concreti delle procedure d’asta. Gli immobili vengono venduti “nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano”, senza garanzie per eventuali vizi. Questo significa che: La valutazione preliminare richiede competenze specifiche Un avvocato con esperienza sa interpretare correttamente l’avviso di vendita e la perizia, individuando potenziali criticità che potrebbero sfuggire a un occhio non esperto. Gli errori formali possono essere fatali La principale causa di esclusione dalle aste è rappresentata da errori nella presentazione della domanda. Un avvocato garantisce la correttezza formale di tutti i documenti. Le decisioni emotive possono compromettere l’investimento Durante un’asta, l’emotività può portare a scelte irrazionali. Un professionista legale offre una valutazione oggettiva e distaccata, basata su criteri giuridici ed economici. Le implicazioni fiscali richiedono una valutazione esperta L’acquisto all’asta ha specifiche implicazioni fiscali che, se non correttamente gestite, possono ridurre significativamente la convenienza dell’operazione. La fase post-aggiudicazione presenta numerose complessità Dopo l’aggiudicazione, è necessario gestire il saldo del prezzo, il decreto di trasferimento e l’eventuale liberazione dell’immobile. Le reali dimensioni trascendono significativamente la comune percezione diffusa tra gli operatori del settore e i potenziali acquirenti. Un avvocato garantisce che queste fasi si svolgano nel rispetto della legge e a tutela dell’acquirente. L’esperienza dell’Avvocato Andrea Rossolini L’Avvocato Andrea Rossolini, in qualità di Professionista Delegato del Tribunale di Ancona ex art. 179-ter (norma che regola l’elenco dei professionisti autorizzati dal tribunale a gestire le operazioni di vendita nelle procedure esecutive), offre una consulenza qualificata che si distingue per: Conoscenza approfondita delle procedure esecutive Capacità di valutare correttamente il rapporto rischio/opportunità Assistenza completa in tutte le fasi della procedura Tutela degli interessi del cliente secondo i più elevati standard deontologici Pur operando prevalentemente per le aste del Tribunale di Ancona, l’Avvocato Rossolini estende la propria consulenza alle procedure esecutive su tutto il territorio nazionale, garantendo sempre lo stesso livello di professionalità e competenza. Conclusioni La scelta di affidarsi a un avvocato con esperienza in aste giudiziarie non rappresenta semplicemente un costo aggiuntivo, ma un investimento nella sicurezza e nella qualità dell’acquisto. I principi deontologici ed etici che regolano la professione forense garantiscono un livello di tutela che altri intermediari non possono offrire, rendendo questa scelta preferibile sotto molteplici aspetti. L’Avvocato Andrea Rossolini, con la sua esperienza come Professionista Delegato del Tribunale di Ancona, rappresenta un punto di riferimento per chi desidera partecipare alle aste immobiliari con la certezza di essere assistito secondo i più elevati standard professionali. Per appuntamenti e informazioni, potete contattare il mio studio legale. Questo articolo ha scopo informativo e non costituisce consulenza legale. Per un parere professionale sul vostro caso specifico, vi invito a contattare il mio studio. […] Read more…
La responsabilità delle banche nelle frodi informatiche (c.d. Phishing): analisi della sentenza Cassazione n. 3780/2024La responsabilità delle banche nelle frodi informatiche (c.d. Phishing): analisi della sentenza Cassazione n. 3780/2024
19/05/2025Introduzione La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 3780 del 12 febbraio 2024 rappresenta un importante precedente in materia di responsabilità degli istituti bancari e dei prestatori di servizi di pagamento nelle frodi informatiche. Il caso riguarda un’operazione fraudolenta effettuata sulla carta prepagata di un utente, vittima di phishing. Il caso Un utente ha ricevuto una email apparentemente proveniente dalla propria banca che lo invitava a cambiare la password del proprio conto. Seguendo il link contenuto nella mail e inserendo le proprie credenziali, l’utente ha successivamente riscontrato un addebito non autorizzato di € 2.900 a favore di “xxxx Paris Fra”. Trattasi di un caso di phishing. Dopo il rifiuto della banca di rimborsare la somma, l’utente ha avviato un’azione legale. Il Giudice di Pace ha inizialmente rigettato la domanda, ma il Tribunale di Paola, in appello, ha accolto il ricorso dell’utente condannando la banca al risarcimento. I principi stabiliti dalla Cassazione La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della banca, confermando alcuni principi fondamentali: Responsabilità contrattuale della banca: La responsabilità della banca per operazioni effettuate tramite strumenti elettronici è di natura contrattuale. Diligenza tecnica professionale: Al prestatore di servizi è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell’”accorto banchiere”. Onere della prova: Mentre il cliente deve solo provare la fonte del proprio diritto, è la banca a dover dimostrare di aver adottato misure adeguate per garantire la sicurezza del servizio. Rischio d’impresa: La possibilità di sottrazione fraudolenta dei codici attraverso tecniche come il phishing rientra nel rischio d’impresa del prestatore di servizi. Implicazioni pratiche Questa sentenza ha importanti implicazioni per: Istituti bancari e prestatori di servizi: Devono implementare soluzioni tecniche adeguate per prevenire frodi, come sistemi di alert via SMS per confermare operazioni. Utenti: Sebbene la sentenza tuteli i consumatori, resta fondamentale adottare comportamenti prudenti nella gestione delle proprie credenziali online. Conclusioni La sentenza conferma l’orientamento della giurisprudenza italiana verso una maggiore tutela dei consumatori nei casi di frodi informatiche (c.d. phishing), ponendo sugli istituti bancari l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza delle operazioni online. Il principio secondo cui il rischio di frodi informatiche rientra nel “rischio d’impresa” del prestatore di servizi rappresenta un importante precedente che potrebbe influenzare future decisioni in casi simili, incentivando gli istituti bancari a investire maggiormente nella sicurezza informatica e nella prevenzione delle frodi. La mia attività professionale come avvocato penalista ad Ancona Come Avvocato Cassazionista con esperienza in diritto penale e diritto civile, esercito la mia professione davanti al Tribunale e alla Corte d’Appello di Ancona, garantendo ai miei assistiti una difesa tecnica aggiornata alle più recenti evoluzioni giurisprudenziali nazionali ed europee. Se avete bisogno di assistenza legale in materia penale e civile (risarcimento danni da phishing), sono a vostra disposizione per una consulenza personalizzata presso il mio studio legale ad Ancona o on-line a questo link, dove potrete ricevere un’assistenza professionale e aggiornata alle più recenti evoluzioni giurisprudenziali. Questo articolo ha scopo informativo e non costituisce consulenza legale. Per un parere professionale sul vostro caso specifico, vi invito a contattare il mio studio. […] Read more…
Contraffazione dei Marchi di Lusso ‘tridimensionali’, l’onere probatorio i confini tra Processo Penale e Processo Civile.Contraffazione dei Marchi di Lusso ‘tridimensionali’, l’onere probatorio i confini tra Processo Penale e Processo Civile.
12/05/2025Una Sentenza Innovativa che Ridisegna i Confini tra Processo Penale e Civile La Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 14578 del 14 aprile 2025, ha annullato una decisione della Corte d’Appello di Ancona, stabilendo importanti principi sia in materia di contraffazione di marchi celebri sia, soprattutto, sui criteri di valutazione della responsabilità civile quando il reato è prescritto. La decisione, che ha visto come difensore dell’imputato l’Avvocato Cassazionista Andrea Rossolini del Foro di Ancona, rappresenta un punto di svolta nella giurisprudenza italiana. La Valutazione della Corte di Cassazione sulla Decisione della Corte d’Appello di Ancona La Cassazione ha rilevato come la Corte d’Appello di Ancona non abbia fornito “una motivazione adeguata in conformità ai richiamati principi”. In particolare, la Corte territoriale, pur venendo in rilievo marchi celebri che godono di una tutela rafforzata, “ha trascurato di approfondire – in conformità ai criteri probatori rilevanti per la prova dell’illecito civile a fronte dell’intervenuta prescrizione del reato contestato – se i prodotti avessero delle caratteristiche peculiari tali, non solo nella forma, ma anche, ad esempio, nei colori, nelle rifiniture e nei materiali utilizzati, da poterli univocamente ed in concreto ricondurre a quelle proprie dei marchi che sarebbero stati da essi rappresentati”. La Suprema Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello di Ancona si sia limitata ad affermare che l’illecito era integrato perché erano riprodotte la tipologia, la forma e le dimensioni delle borse di marchi celebri, senza un’adeguata analisi delle caratteristiche specifiche dei prodotti. L’Evoluzione Giurisprudenziale: Dal Principio “Tettamanti” alla Sentenza della Corte Costituzionale La sentenza dedica ampio spazio all’evoluzione giurisprudenziale sui criteri di valutazione della responsabilità civile quando il reato è prescritto. La Cassazione ripercorre il cammino dal principio “Tettamanti” (Sezioni Unite n. 35490/2009) fino alla fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n. 182/2021, che ha ridefinito i parametri di valutazione. Il Superamento del Principio “Tettamanti” Le Sezioni Unite, con la sentenza “Tettamanti”, avevano stabilito che il giudice d’appello, intervenuta la prescrizione del reato, dovesse valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili secondo i criteri penalistici, e che il proscioglimento nel merito prevalesse sulla causa estintiva anche in caso di prove insufficienti o contraddittorie. La Svolta della Corte Costituzionale: La Sentenza n. 182/2021 La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 182/2021, ha fornito un’interpretazione adeguatrice dell’art. 578 c.p.p., chiarendo che: “Una volta intervenuta in appello l’estinzione del reato per il quale l’imputato era stato condannato nel giudizio di primo grado, la possibilità di confermare o disporre il risarcimento del danno in favore della parte civile non si correla all’accertamento di un fatto di reato in forza della regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, di matrice penalistica, bensì di un illecito civile in virtù della regola civilistica del ‘più probabile che non’.” Questa interpretazione costituzionalmente orientata ha lo scopo di bilanciare due esigenze fondamentali: Evitare che cause estintive del reato possano frustrare il diritto al risarcimento della persona danneggiata Rispettare la presunzione di innocenza, principio fondante del nostro sistema penale Il Nuovo Standard Probatorio: Dal “Oltre Ogni Ragionevole Dubbio” al “Più Probabile Che Non” La Cassazione sottolinea le profonde differenze tra i due standard probatori: Lo Standard Penalistico: “Oltre Ogni Ragionevole Dubbio” Richiede una valutazione complessiva degli elementi probatori La responsabilità deve essere accertata con un alto grado di credibilità razionale Le ipotesi alternative devono essere prive di qualsiasi concreto riscontro Lo Standard Civilistico: “Più Probabile Che Non” Si basa sulla probabilità relativa Richiede un’analisi specifica di tutte le risultanze probatorie del singolo processo Il nesso causale può essere affermato sulla base di una prova che lo renda semplicemente probabile Non è necessaria una certezza assoluta La Nuova Metodologia di Valutazione per il Giudice d’Appello La sentenza delinea con precisione la metodologia che il giudice d’appello deve seguire quando, come nel caso in esame, il reato è prescritto: Valutare se la condotta abbia provocato un “danno ingiusto” secondo l’art. 2043 cod. civ. In caso di ipotesi positiva e negativa, scegliere quella con maggiori probabilità In caso di ipotesi alternative, eliminare prima quelle meno probabili Selezionare l’ipotesi che abbia ricevuto il maggior grado di conferma dalle circostanze di fatto Considerare qualità, quantità, attendibilità e coerenza delle prove disponibili Inoltre, come precisato dalla recente sentenza “Calpitano” (Sezioni Unite n. 36208/2024), il giudice penale d’appello “non deve limitarsi a prendere atto della causa estintiva, ma è comunque tenuto a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito.” Il Caso Specifico: La Tutela dei Marchi Rinomati tridimensionali Nel merito della questione, la Cassazione ha stabilito un importante principio sulla tutela dei marchi rinomati: “Integra il reato di cui all’art. 473 cod. pen. anche la riproduzione della tipologia, della forma e delle dimensioni di un prodotto appartenente un marchio ‘rinomato’, ove pure tale marchio non venga riprodotto nel prodotto medesimo, a condizione che si accerti che la suddetta riproduzione abbia caratteristiche idonee a trasferire sul prodotto oggetto dell’imitazione il potere di individuazione dell’originale.” La Corte ha riconosciuto che i marchi celebri (nel caso specifico Balenciaga, Hermes, Stella McCartney, Celine e Yves Saint Laurent) godono di una tutela rafforzata che va oltre la mera riproduzione del marchio, estendendosi anche alle caratteristiche tridimensionali del prodotto, ma a determinate condizioni. ‘nella giurisprudenza di questa Corte, con riguardo a una fattispecie analoga a quella per cui è processo, è stato affermato che, ai fini della configurabilità del reato di contraffazione ed alterazione di marchi o segni distintivi (art. 473 cod. pen.), deve escludersi la rilevanza del marchio cosiddetto tridimensionale, quando lo stesso sia composto unicamente da elementi privi di carattere distintivo rispetto ai prodotti o servizi ai quali si riferisce, presentando forme usuali allo specifico settore di appartenenza del prodotto, senza inserire il marchio della casa produttrice del prodotto simile (Sez. 2, n. 13396 del 23/03/2011, Pescini, Rv. 250047 – 01). Del resto, già nella tradizionale giurisprudenza delle Sezioni Civili, la tutela dei marchi tridimensionali è stata riconosciuta nelle sole ipotesi di forme non consuete (Sez. 1 civ., n. 3333 del 21/05/1981, Rv. 413906 – 01) ovvero, più in generale, di caratteristiche tali da avere un potere di individuazione originale del prodotto (Sez. 1 civ., n. 549 del 29/03/1965, Rv. 310993 – 01).“ Le Conseguenze Pratiche della Sentenza Cassazione Penale 14578 del 14 aprile 2025 Questa decisione ha importanti implicazioni sia per i titolari di marchi rinomati sia per la prassi giudiziaria: Per i titolari di marchi rinomati: in determinate condizioni, si amplia la tutela contro forme di contraffazione “sofisticate” che riproducono solo le caratteristiche tridimensionali del prodotto Per i giudici d’appello: si stabilisce un preciso standard probatorio e metodologico per valutare la responsabilità civile quando il reato è prescritto Per gli imputati: si garantisce il rispetto della presunzione di innocenza anche quando permane l’azione civile La mia attività professionale come avvocato penalista ad Ancona Come Avvocato Cassazionista con esperienza in diritto penale, esercito la mia professione davanti al Tribunale e alla Corte d’Appello di Ancona, garantendo ai miei assistiti una difesa tecnica aggiornata alle più recenti evoluzioni giurisprudenziali nazionali ed europee, come dimostra questa importante sentenza della Cassazione che ho seguito personalmente. La mia esperienza nel campo del diritto penale, con particolare attenzione ai reati contro la proprietà intellettuale e industriale, mi consente di offrire un’assistenza qualificata in procedimenti complessi come quello oggetto della sentenza in esame. La difesa in Cassazione richiede competenze specifiche e una profonda conoscenza dei principi giuridici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. Oltre ai procedimenti in materia di contraffazione, mi occupo di difesa in processi per maltrattamenti, stalking e altri reati, sempre con un approccio attento alle esigenze del cliente e alle peculiarità del caso concreto. Se avete bisogno di assistenza legale in materia penale, sono a vostra disposizione per una consulenza personalizzata presso il mio studio legale ad Ancona, dove potrete ricevere un’assistenza professionale e aggiornata alle più recenti evoluzioni giurisprudenziali. Questo articolo ha scopo informativo e non costituisce consulenza legale. Per un parere professionale sul vostro caso specifico, vi invito a contattare il mio studio. […] Read more…
L’Assegno Unico nel Patrocinio a Spese dello Stato: Una Guida Completa.L’Assegno Unico nel Patrocinio a Spese dello Stato: Una Guida Completa.
10/05/2025L’assegno unico universale rappresenta una prestazione economica che deve essere obbligatoriamente indicata nella domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Analizziamo nel dettaglio perché questo contributo deve essere dichiarato e come influisce sul calcolo del reddito per l’accesso al beneficio. Perché va dichiarato l’Assegno Unico? La Cassazione penale ha chiarito che nella determinazione del reddito per il patrocinio a spese dello Stato rilevano non solo i redditi imponibili IRPEF, ma anche: Redditi esenti da IRPEF Redditi soggetti a ritenuta alla fonte Redditi soggetti ad imposta sostitutiva Qualsiasi risorsa economica di cui il richiedente disponga L’assegno unico, essendo una prestazione sociale erogata dall’INPS, rientra tra i redditi che devono essere considerati nel calcolo complessivo, anche se esente da IRPEF. Il precedente giurisprudenziale: la sentenza della Corte Cassazione penale n. 39067/2012 Un importante precedente giurisprudenziale è rappresentato dalla sentenza della Cassazione penale Sez. IV n. 39067 del 4 ottobre 2012, che ha affrontato specificamente la questione degli assegni familiari (predecessori dell’attuale assegno unico). In questa sentenza, la Corte ha respinto la tesi secondo cui gli assegni per il nucleo familiare potessero essere omessi dall’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in quanto non concorrenti a formare la base imponibile ai fini dell’IRPEF. La Cassazione ha chiarito che: “La sentenza di non luogo a procedere del gup si basa sulla circostanza che le somme non indicate nella istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato sono rappresentate da assegni per il nucleo familiare che, a norma della Legge 13 maggio 1988, n. 153, articolo 2, comma 11 non concorrono a formare la base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito; si ritiene pertanto giustificata la scelta dell’imputato di non indicare tali somme nemmeno nell’istanza di ammissione di cui si discute. Come correttamente rilevato dal Procuratore ricorrente la tesi non puo’ essere condivisa atteso che il preciso e chiaro disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 76, comma 3 impone di indicare nella istanza di ammissione anche i redditi esentati dal computo i fini dell’IRPEF, redditi che, pur non essendo tassati, concorrono tuttavia a determinare il limite di reddito previsto per l’ammissione al patrocinio“ Questa pronuncia costituisce un precedente fondamentale che si applica pienamente anche all’assegno unico universale, confermando l’obbligo di dichiararlo nell’istanza di ammissione al patrocinio. Come influisce sul calcolo del reddito rilevante ai fini della Ammissione al Gratuito Patrocinio? La giurisprudenza più recente ha ribadito alcuni principi fondamentali: Va considerata ogni componente reddituale, sia diretta che sostitutiva Le prestazioni sociali come l’assegno unico sono espressive di capacità economica Il reddito va calcolato considerando tutte le entrate effettivamente percepite nel periodo di riferimento Conseguenze dell’omessa dichiarazione Assegno Unico? La mancata indicazione dell’assegno unico nell’istanza può comportare serie conseguenze: Revoca dell’ammissione al beneficio se il reddito totale supera i limiti previsti Possibili conseguenze penali per false dichiarazioni Obbligo di restituire le spese sostenute dallo Stato È importante sottolineare che, come stabilito dalla Cassazione, l’errore sulla nozione di reddito rilevante non esclude la responsabilità del dichiarante. Quando va dichiarato l’Assegno Unico? L’assegno unico deve essere dichiarato: Nel momento della presentazione dell’istanza Considerando l’importo percepito nell’anno di riferimento Includendolo nel calcolo del reddito familiare complessivo Come calcolare correttamente il reddito? Secondo la Corte di Cassazione, nel calcolo vanno inclusi: Redditi imponibili risultanti dall’ultima dichiarazione Prestazioni sociali (incluso l’assegno unico) Redditi esenti o soggetti a tassazione separata Ogni altra entrata economicamente rilevante Consigli pratici per la compilazione dell’istanza Per una corretta compilazione dell’istanza, è consigliabile: Raccogliere tutta la documentazione relativa all’assegno unico Sommare l’importo totale percepito nell’anno di riferimento Includere l’importo nel calcolo del reddito complessivo Conservare la documentazione INPS attestante gli importi ricevuti Conclusioni L’assegno unico rappresenta una componente fondamentale del reddito ai fini del patrocinio a spese dello Stato. La sua corretta dichiarazione è essenziale per: Garantire la validità dell’istanza Evitare future contestazioni Assicurare una valutazione accurata della condizione economica Prevenire possibili conseguenze negative La trasparenza e completezza nella dichiarazione di tutte le componenti reddituali, incluso l’assegno unico, è fondamentale per accedere legittimamente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Il Patrocinio a Spese dello Stato e la mia attività professionale di Avvocato Foro di Ancona Come avvocato specializzato in diritto di famiglia e di diritto penale ad Ancona, offro consulenza e assistenza legale in tutti i procedimenti di separazione e divorzio, maltrattamenti, stalking garantendo un approccio aggiornato alle più recenti evoluzioni giurisprudenziali nazionali ed europee. Il “Gratuito Patrocinio”, il “libero patrocinio” o meglio, il Patrocinio a Spese dello Stato è un istituto giuridico previsto dall’ordinamento italiano per garantire l’esercizio del diritto di difesa, come sancito dall’art. 24, comma 3 della Costituzione: «Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione». Se avete bisogno di assistenza legale e ritenete di avere i requisiti per accedere al patrocinio a spese dello Stato, sono a vostra disposizione per valutare tutti gli aspetti della vostra situazione, incluse le questioni relative alla corretta dichiarazione della domanda. Per appuntamenti e informazioni, potete contattare il mio studio legale che opera nel Foro di Ancona. Questo articolo ha scopo informativo e non costituisce consulenza legale. Per un parere professionale sul vostro caso specifico, vi invito a contattare il mio studio. […] Read more…
Sentenza storica della Corte europea dei diritti dell’uomo: il rifiuto di rapporti sessuali non può essere motivo di addebito nel divorzioSentenza storica della Corte europea dei diritti dell’uomo: il rifiuto di rapporti sessuali non può essere motivo di addebito nel divorzio
26/04/2025La recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 23 gennaio 2025 segna un punto di svolta fondamentale nella giurisprudenza in materia di diritto di famiglia. La Corte ha stabilito che considerare il rifiuto di rapporti sessuali come motivo di addebito della separazione o del divorzio viola l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che tutela il diritto al rispetto della vita privata. Il caso H.W. c. Francia: i fatti Il caso riguarda una donna francese che, dopo aver chiesto il divorzio dal marito nel 2012, si è vista addebitare la colpa esclusiva della fine del matrimonio dalla Corte d’Appello di Versailles. La motivazione? Aver “rifiutato continuamente, a partire dal 2004, di intrattenere relazioni intime con il marito”, nonostante la donna avesse giustificato tale rifiuto con problemi di salute. La Corte d’Appello aveva ritenuto che tale comportamento costituisse “una violazione grave e ripetuta dei doveri e degli obblighi del matrimonio che rende intollerabile il mantenimento della vita comune”. La Corte di Cassazione francese aveva poi respinto il ricorso della donna. La decisione della Corte EDU La Corte Europea ha ritenuto che la riaffermazione del “dovere coniugale” e la pronuncia del divorzio per colpa esclusiva della ricorrente costituiscano un’interferenza ingiustificata con il suo diritto al rispetto della vita privata, la sua libertà sessuale e il suo diritto di disporre del proprio corpo. Secondo la Corte, l’esistenza stessa di un “obbligo matrimoniale” che impone rapporti sessuali è contraria: alla libertà sessuale al diritto di disporre del proprio corpo al dovere positivo degli Stati di prevenire la violenza domestica e sessuale La Corte ha sottolineato che “il consenso deve riflettere la libera volontà di avere un determinato rapporto sessuale, nel momento in cui si verifica e tenendo conto delle sue circostanze”, e che il consenso al matrimonio non implica il consenso a futuri rapporti sessuali. Rilevanza per il diritto italiano Questa sentenza ha importanti implicazioni anche per il diritto italiano. Sebbene il nostro ordinamento non preveda esplicitamente un “dovere coniugale” nei termini della giurisprudenza francese, la questione del rifiuto dei rapporti sessuali come possibile causa di addebito della separazione è stata oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali. Nel nostro sistema, l’art. 143 del Codice Civile stabilisce che “dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”. La giurisprudenza italiana ha talvolta interpretato questi obblighi includendo anche aspetti relativi alla sfera intima dei coniugi. Alla luce della sentenza della Corte EDU, è ora chiaro che tale interpretazione deve essere rivista: il rifiuto di rapporti sessuali, in quanto espressione della libertà sessuale e del diritto di disporre del proprio corpo, non può costituire di per sé una violazione dei doveri matrimoniali tale da giustificare l’addebito della separazione. Conseguenze pratiche per le separazioni e i divorzi Per chi affronta una separazione o un divorzio, questa sentenza rappresenta un importante precedente. Non sarà più possibile fondare una richiesta di addebito sul solo rifiuto di rapporti sessuali da parte del coniuge. Nei procedimenti di separazione e divorzio sarà necessario: Valutare con attenzione le reali cause della crisi coniugale Considerare che la libertà sessuale è un diritto fondamentale che non viene meno con il matrimonio Ricordare che il consenso ai rapporti intimi deve essere libero e attuale Consulenza legale specializzata Come avvocato specializzato in diritto di famiglia ad Ancona, offro consulenza e assistenza legale in tutti i procedimenti di separazione e divorzio, garantendo un approccio aggiornato alle più recenti evoluzioni giurisprudenziali nazionali ed europee. La tutela dei diritti fondamentali, inclusa la libertà sessuale, è un aspetto centrale della mia pratica professionale. Se state affrontando una separazione o un divorzio e avete bisogno di assistenza legale, sono a vostra disposizione per una consulenza personalizzata che tenga conto di tutti gli aspetti della vostra situazione. Per appuntamenti e informazioni, potete contattare il mio studio legale ad Ancona. Questo articolo ha scopo informativo e non costituisce consulenza legale. Per un parere professionale sul vostro caso specifico, vi invito a contattare il mio studio. […] Read more…
Le sentenze inventate o inesistenti ovvero le c.d. allucinazioni giurisprudenziali dell’intelligenza artificiale (AI): il caso ChatGPT al Tribunale di Firenze.Le sentenze inventate o inesistenti ovvero le c.d. allucinazioni giurisprudenziali dell’intelligenza artificiale (AI): il caso ChatGPT al Tribunale di Firenze.
07/04/2025TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE SEZIONE IMPRESE Il Tribunale delle Imprese, in composizione collegiale, nelle persone dei magistrati: dott. Alessandro Ghelardini Presidentedott.ssa Laura Maione Giudicedott.ssa Stefania Grasselli Giudice relatore nel procedimento per reclamo iscritto al n. 11053/2024 R.G. promosso da (…) RECLAMANTE contro (…) ALTRI RECLAMATI avente ad oggetto: Sequestro (art. 129 c.p.i.) ha emesso la seguente ORDINANZA (…). Si ritiene infine che debba essere rigettata la richiesta di condanna di C° ex art. 96 c.p.c. avanzata da (…) a seguito dell’indicazione, in sede di comparsa di costituzione, di sentenze inesistenti, ovvero il cui contenuto reale non corrisponde a quello riportato. A seguito delle note all’uopo autorizzate (occorre peraltro specificare come non possano essere considerate le parti inerenti al merito della vertenza inserite nella nota di replica depositata dal reclamante, essendo le note state espressamente autorizzate “sulla sola questione inerente i precedenti giurisprudenziali oggi contestati”, altrimenti ledendo il principio del contraddittorio), il difensore della società costituita ha dichiarato che i riferimenti giurisprudenziali citati nell’atto sono stati il frutto della ricerca effettuata da una collaboratrice di studio mediante lo strumento dell’intelligenza artificiale “ChatGPT“, del cui utilizzo il patrocinatore in mandato non era a conoscenza. L’IA avrebbe dunque generato risultati errati che possono essere qualificati con il fenomeno delle cc.dd. allucinazioni di intelligenza artificiale, che si verifica allorché l’IA inventi risultati inesistenti ma che, anche a seguito di una seconda interrogazione, vengono confermati come veritieri. In questo caso, lo strumento di intelligenza artificiale avrebbe inventato dei numeri asseritamente riferibili a sentenze della Corte di Cassazione inerenti all’aspetto soggettivo dell’acquisto di merce contraffatta il cui contenuto, invece, non ha nulla a che vedere con tale argomento. La reclamata, pur riconoscendo l’omesso controllo sui dati così ottenuti, ha chiesto lo stralcio di tali riferimenti, ritenendo già sufficientemente fondata la propria linea difensiva. Sul punto, il reclamante ha rilevato l‘errore di verifica della veridicità delle ricerche effettuate e, sottolineando l’abusivo utilizzo dello strumento processuale, ha chiesto la condanna di controparte ex art. 96 c.p.c. per aver in questo modo influenzato la decisione del collegio. Occorre rilevare come l’indicazione di tali riferimenti giurisprudenziali sia stata posta a fondamento della tesi ab origine sostenuta dalla (…), proposta quindi a supporto di una struttura difensiva rimasta immutata sin dal primo grado del giudizio ed oggettivamente non finalizzata ad influenzare il collegio, appuntandosi piuttosto su quanto già indicato, in senso analogo, anche nelle decisioni di prime cure, in ordine all’assenza dell’elemento soggettivo della malafede dei dettaglianti, elemento sulla base del quale non sono state a loro estese le misure cautelari. In particolare, quanto all’applicazione del comma 1 del cit. art. 96 c.p.c., in linea generale si ritiene che abbia natura extracontrattuale, poiché “richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell’an e sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa” (cfr. Cass., sez. L, sentenza n. 9080 del 15 aprile 2013) e, “pur recando in sé una necessaria indeterminatezza quanto agli effetti lesivi immediatamente discendenti dall’improvvida iniziativa giudiziale, impone, comunque, una, sia pur generica, allegazione della direzione dei supposti danni” (cfr. Cass., sez. II, sentenza n. 7620 del 26 marzo 2013). In applicazione di tali principi nel caso di specie, la domanda non può essere accolta, in quanto il reclamante non ha spiegato alcuna allegazione, neppur generica, dei danni subiti a causa dell’attività difensiva espletata della controparte. Questo tribunale ritiene del pari non applicabile il comma 3 dell’art. 96 c.p.c., la cui ratio deve individuarsi nel disincentivare l’abuso del processo o comportamenti strumentali alla funzionalità del servizio giustizia ed in genere al rispetto della legalità sostanziale; tale fattispecie deve inoltre intendersi come species dei primi due commi, per cui non si può prescindere dalla condotta posta in essere con mala fede o colpa grave né dall’abusività della condotta processuale. Ora, fermo restando il disvalore relativo all’omessa verifica dell’effettiva esistenza delle sentenze risultanti dall’interrogazione dell’IA (…), sin dal primo grado ha fondato la sua propria strategia difensiva sull’assenza di malafede nell’aver commercializzato le magliette raffigurante le vignette di (…) elemento che poi si era già trovato nel decreto emesso inaudita altera parte e che ha trovato riscontro anche nella successiva ordinanza cautelare. L’indicazione di estremi di legittimità nel giudizio di reclamo ad ulteriore conferma della linea difensiva già esposta dalla (…) si può quindi considerare diretta a rafforzare un apparato difensivo già noto e non invece finalizzata a resistere in giudizio in malafede, conseguendone la non applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 96 c.p.c.. 4. Le spese di lite Le spese di lite seguono il principio della soccombenza, per cui tutti i reclamati, anche contumaci, devono essere condannati in solido a rifondere al reclamante le spese da questi sostenute, con conseguente revoca della disposizione inerente al pagamento delle spese da parte di (…) in favore di (…). Quindi, le spese di lite vengono liquidate per come indicato in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia (indeterminabile – complessità media) e dell’attività difensiva espletata (scaglione medio per le fasi di studio ed introduttiva e minimo per quelle istruttoria, essendo stata solo documentale, e decisionale, essendosi celebrata una sola udienza) sulla base dei parametri di cui al D.M. Giustizia 10 aprile 2014 n. 55, aggiornati al D.M. n. 147 del 13/08/2022. (…) […] Read more…
I ‘like’ ad un post discriminatorio su Facebook possono costituire prove sufficienti per considerare il reato di istigazione all’odio razziale.I ‘like’ ad un post discriminatorio su Facebook possono costituire prove sufficienti per considerare il reato di istigazione all’odio razziale.
30/12/20241. Con ordinanza deliberata il 25 giugno 2021 il Tribunale di Roma, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza con cui il GIP aveva applicato a ### ### la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria in ordine al reato di cui all’art. 604-bis, secondo comma, cod. pen. (capo 1) e di quello previsto dagli artt. 604-bis e 604-ter cod. pen. (capo 2), escludendo l’aggravante di cui all’art. 604-ter cod. pen. Secondo i giudici della cautela, le emergenze investigative costituiscono una piattaforma indiziaria sufficiente, per la sua gravità, per ritenere sussistenti entrambi i reati e di ascriverli al ###. Il monitoraggio delle interazioni di tre distinte piattaforme social, non aventi natura privata, operanti su Facebook, VKontacte e Whatsapp, eseguito fino alle perquisizioni del 2019, aveva disvelato non solo .1a creazione di una comunità virtuale internet, denominata “### ### ###” (#.#.#.), caratterizzata da una vocazione ideologica di estrema destra neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione per motivi razziali, etnici e religiosi, ma anche la commissione di plurimi delitti di propaganda di idee on line fondate sull’antisemitismo, il negazionismo, l’affermazione della superiorità della razza bianca nonché incitamenti alla violenza per le medesime ragioni. Dalla medesima attività investigativa nonché da alcune conversazioni telefoniche era emerso che il ### aveva aderito al gruppo ###, anche incontrando di persona alcuni dei principali esponenti (### ###), e si era posto ripetutamente in contatto con le piattaforme social della comunità virtuale, attraverso l’uso di account a lui riconducibili, consentendo, con l’inserimento dei “like“, il rilancio di “post” e dei correlati commenti dal contenuto negazionista ed antisemita. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il ###, per il tramite del difensore di fiducia, avv. ### ###, sviluppando due motivi di seguito enunciati nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 604- bis cod. pen. e vizio di motivazione in merito alla ricorrenza della fattispecie delittuosa. Il provvedimento non ha fornito una incisiva replica alle valutazioni difensive sul carattere lacunoso e scarno del compendio indiziario a carico del ###. Ha, infatti, continuato a valorizzare in chiave accusatoria i contatti fisici fra i presunti aderenti all’organizzazione, nonostante siano del tutto irrilevanti alla luce della tipologia dei reati contestati, che sanzionano esclusivamente la propaganda di idee on line e la diffusione di messaggi, nonché l’inserimento di soli “tre like” che costituiscono, al più, un’espressione di gradimento e non sono affatto dimostrativi né dell’appartenenza al gruppo né della condivisione degli scopi illeciti. Il contenuto dei post nei quali il ### ha inserito il “mi piace” non sfocia mai nell’antisemitismo e non travalica i confini della libera manifestazione del pensiero. Nessun messaggio è idoneo ad influenzare il comportamento o la psicologia di un pubblico vasto e a raccogliere adesioni nei termini richiesti dalla giurisprudenza di legittimità, ampiamente richiamata, che ritiene necessario per l’integrazione del reato il pericolo concreto di comportamenti discriminatori. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al ritenuto pericolo di recidiva ed in ### all’adeguatezza della misura cautelare applicata. Il Tribunale ha ritenuto irrilevante lo stato di incensuratezza e non genuina la resipiscenza senza fornire adeguata giustificazione; non ha nemmeno indicato dati concreti ed oggettivi che rendano attuale ed effettiva l’esigenza cautelare di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., finendo per assegnare all’applicata misura natura punitiva e non social preventiva. Non sussiste alcuna correlazione, anche solo logica, fra l’obbligo di firma imposto al ricorrente e l’obbiettivo di evitare che lo stesso commetta ulteriori reati. La peculiarità della posizione del ###, il quale, oltre ad essere incensurato, ha contribuito in maniera assai limitata alla consumazione dei reati, giustificava una diversa valutazione in sede cautelare rispetto agli altri indagati, attinti da precedenti specifici e da un compendio indiziario ben più consistente. CONSIDERATO IN DIRITTO Entrambi i motivi non superano il preliminare vaglio di ammissibilità. 1. Il primo motivo, relativo alla gravità indiziaria, non si confronta criticamente con il reale apparato argomentativo del provvedimento impugnato che, pertanto, risulta essere attinto da censure generiche o comunque tali da sollecitare apprezzamenti di merito, estranei al giudizio di legittimità. Il Tribunale del riesame ha logicamente desunto l’appartenenza del ### alla comunità virtuale, avente gli scopi previsti dalla norma incriminatrice, non solo dai rapporti di frequentazione, fisici e ripetuti, con altri utenti, ma anche dalle sue plurime manifestazioni di adesione e condivisione dei messaggi confluiti sulle bacheche presenti nelle piattaforme Facebook, VKontacte e Whatsapp dal chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza (si pensi all’identificazione degli ebrei come ‘il vero nemico’ o al riferimento alla Shoà come ‘la menzogna più madornale che possano aver inculcato” o all’irrisione delle vittime dei campi di sterminio) e, ai fini tanto dell’integrazione delle condotte di propaganda quanto della individuazione nell’incitamento all’odio quale scopo illecito perseguito del gruppo, ha considerato concreto il pericolo di diffusione dei messaggi tra un numero indeterminato di persone, opportunamente valorizzando la pluralità di social network utilizzati e le modalità di funzionamento di uno di questi, Facebook, incentrate su un algoritmo che attribuisce rilievo anche alle forme di gradimento, i “like“, espressi dall’odierno ricorrente. A quest’ultimo proposito, i giudici della cautela hanno precisato che la diffusione dei messaggi inseriti nelle bacheche “Facebook“, già potenzialmente idonei a raggiungere un numero indeterminato di persone, dipende dalla maggiore interazione con le pagine interessate da parte degli utenti. La funzionalità “newsfeed” ossia il continuo aggiornamento delle notizie e delle attività sviluppate dai contatti di ogni singolo utente è, infatti, condizionata dal maggior numero di interazioni che riceve ogni singolo messaggio. Sono le interazioni che consentono la visibilità del messaggio ad un numero maggiore di utenti i quali, a loro volta, hanno la possibilità di rilanciarne il contenuto. L’algoritmo scelto dal social network per regolare tale sistema assegna, infatti, un valore maggiore ai post che ricevono più commenti o che sono contrassegnati dal “mi piace” o “like“. . Completano, infine, la piattaforma accusatoria le conversazioni telefoniche che delineano la figura del ### quale appartenente alla comunità virtuale. In tale qualità, infatti, egli non solo ha ricevuto consigli per evitare l’acquisizione di prove compromettenti a suo carico (conversazione con ### ### il quale, già destinatario di attività di perquisizione e sequestri, lo esortava ad adottare specifiche misure cautelative per evitare di essere scoperto cancellando chat, rubriche ed altri interventi sul telefonino), ma è stato anche destinatario di specifici commenti da parte di un altro esponente, il ###, il quale aveva manifestato il suo personale compiacimento per la convinta adesione al gruppo da parte del ###. 2. Il secondo motivo, relativo alle esigenze cautelari, è parimenti generico e, comunque, manifestamente infondato. Il pericolo di reiterazione delle condotte delittuose è stato desunto da elementi concreti ed attuali, specificamente indicati, ossia dall’epoca assai recente di consumazione dei reati e della personalità del ###, il quale, ad onta della pregressa incensuratezza e nonostante la professione svolta, non aveva manifestato, nelle conversazioni intercettate, alcuna forma di ripensamento critico neanche dopo essere venuto a conoscenza delle perquisizioni eseguite nei confronti degli altri indagati nel 2019. Anzi, aveva continuato, seppure con maggiore prudenza, a gravitare nel contesto relazionale ed ideologico del movimento. L’adeguatezza della misura dell’obbligo di firma a fronteggiare la delineata esigenza di cautela è stata plausibilmente ancorata alla spinta deterrente esercitata dai periodici contatti con l’autorità di polizia giudiziaria.3. Per quanto esposto, il ricorso manifestamente infondato in tutte le sue deduzioni, va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa nella proposizione di tale impugnazione, anche al versamento di sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo liquidare in euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, in Roma il 6 dicembre 2021”. Così Suprema Corte di Cassazione, Sez. 1 – , Sentenza n. 4534 del 06/12/2021 Cc.  (dep. 09/02/2022 ) Rv. 282504 – 01 Presidente: ZAZA CARLO.  Estensore: ALIFFI FRANCESCO.  Relatore: ALIFFI FRANCESCO.  Imputato: ### ###. P.M. GAETA PIETRO. (Conf.) Dichiara inammissibile, TRIB. LIBERTA’ ROMA, 25/06/2021. […] Read more…
L’invio di messaggi su Messenger non è diffamazione senza doloL’invio di messaggi su Messenger non è diffamazione senza dolo
23/12/20241. Con sentenza del 22 novembre 2023 la Corte di appello di L’Aquila – per quel che qui rileva – all’esito del gravame interposto da ### ###, ne ha confermato la condanna, resa dal Tribunale di L’Aquila con pronuncia del 5 luglio 2019, per il delitto aggravato di diffamazione (art. 595, commi 1 e 3, cod. pen.) – commesso in pregiudizio di ### ### – anche con riguardo alle statuizioni civili in favore di quest’ultimo. In particolare, all’imputata è contestato di aver divulgato tramite il social network Facebook una lettera dal contenuto offensivo dell’onore, del decoro e della professionalità del ### (che esercita la professione forense), redatta da ### ###. 2. Avverso la sentenza di appello il difensore dell’imputata ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo (di seguito esposto nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, d. att. cod. proc. pen.), con il quale ha denunciato la mancanza di motivazione, in particolare in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, profilo rispetto al quale l’argomentazione con cui è stata disattesa la prospettazione difensiva sarebbe apparente. Difatti, con il gravame si era dedotto che: – l’istruttoria dibattimentale avrebbe acclarato che l’imputata non ha pubblicato la missiva tramite un canale pubblico (come contestato) ma l’ha trasmessa tramite l’applicativo di messaggistica privata Messenger nel corso di un contatto intercorso con l’Avv. ### (Presidente dell’associazione intitolata alla figlia di quest’ultima), senza avere conoscenza del fatto (emerso nel corso dell’istruttoria, ma a lei ignoto anche alla luce del tenore privato del contatto con la propria interlocutrice) che a tale applicativo avessero accesso anche altri soggetti (i membri del direttivo della detta associazione); – la Corte di merito, a fronte di tale specifica deduzione volta a confutare la sussistenza dell’elemento soggettivo (anche alla luce del fatto che la ### non ha, come esposto, divulgato la missiva in un canale pubblico), avrebbe eluso la questione, rendendo una motivazione apparente fondata su quanto emerso nell’istruttoria dibattimentale a proposito dei soggetti che avevano accesso al detto applicativo ma non su quanto era in effetti noto all’imputata quando ha agito. 3. Il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte di cassazione ha presentato memoria con la quale, in ragione della fondatezza del ricorso, ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato, con revoca delle statuizioni civili. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è fondato, nei termini di seguito esposti. 1. L’art. 595 cod. pen. incrimina chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione (nei casi in cui la comunicazione non sia diretta all’offeso che vi resta estraneo; cfr. Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742 — 01; Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502 — 01). Questa Corte ha già rilevato che: – «il bene giuridico tutelato dall’art. 595 cod. pen. è l’onore nel suo riflesso in termini di valutazione sociale (la reputazione intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella società e, in particolare, nell’ambiente in cui quotidianamente vive e opera) di ciascuna persona, e l’evento è costituito dalla comunicazione e dalla correlata percezione o percepibilità, da parte di almeno due consociati, di un segno (parola, disegno) lesivo, che sia diretto, non in astratto, ma concretamente, a incidere sulla reputazione di uno specifico cittadino . Si tratta di evento, non fisico, ma, psicologico, consistente nella percezione sensoriale e intellettiva, da parte di terzi, dell’espressione offensiva» (Sez. 5, n. 39059 del 27/06/2019, ###, Rv. 276961 — 01, che richiama, tra le altre, Sez. 5, n. 47175 del 04/07/2013, ###, Rv. 257704; cfr. pure Sez. 5, n. 8890 del 30/11/2020 – dep. 2021, ###, Rv. 280622 – 01); – «ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di diffamazione, non si richiede che sussista animus iniuriandi vel diffamandi”, essendo sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto è sufficiente che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente» (Sez. 5, n. 4364 del 12/12/2012 – dep. 2013, ###, Rv. 254390 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013 – dep. 2014, ###, Rv. 258943 – 01); – «l’elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Pertanto è necessario che l’autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalità che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento» (Sez. 5, n. 36602 del 15/07/2010, ###, Rv. 248431 – 01; Sez. 5, n. 2138 del 14/12/1972 – dep. 1973, ###, Rv. 123561 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 1794 del 05/11/1998 – dep. 1999, ###, Rv. 212516 – 01, secondo cui, «nel caso in cui la “comunicazione con più persone” non possa dirsi voluta dall’agente, nemmeno sotto il profilo del dolo eventuale» ed essa «cionostante, si verifica, non ha riflesso penale, non essendo prevista nel nostro ordinamento l’ipotesi colposa della diffamazione»; cfr. pure Sez. 5, n. 26560 del 29/04/2014, ###, Rv. 260229 – 01, che, quanto «al requisito della comunicazione con più persone», al fine della sussistenza del delitto, ha espressamente attribuito rilievo al fatto che l’autore «prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto» diffamatorio della propria missiva «sarebbe stato reso noto a terzi»). Inoltre, le Sezioni Unite hanno chiarito che, «in tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi» (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261104 – 01). 1.2. Tanto premesso, la motivazione della sentenza impugnata è viziata proprio sotto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto, unico oggetto di censura da parte del ricorso (che non ha, invece, ad oggetto la sussistenza del fatto nella sua materialità, neppure sotto il profilo della divulgazione a più persone delle espressioni denigratorie tramite l’applicazione Messenger). Difatti, con l’atto di appello la difesa dell’imputata aveva censurato sul punto la sentenza di primo grado (che aveva ritenuto ovvio che ella avesse conoscenza del fatto che la divulgazione a terzi della missiva de qua «potesse e dovesse accadere – poiché ella stava «usando un mezzo diretto a cui avevano continuo accesso altre soggetti appartenenti all’associazione ### ### Onlus»): in particolare, con il gravame si era dedotto che la ### non avesse alcuna consapevolezza che le espressioni offensive da lei trasmesse – secondo la ricostruzione compiuta dai Giudici di merito, tramite Messenger – sarebbero entrate a conoscenza di soggetti diversi dall’unica persona (l’avvocato ###) con la quale aveva intrattenuto il proprio contatto telematico non solo in precedenza ma anche lo stesso giorno del fatto (per più ore) proprio con tale modalità (richiamando, in particolare, non solo quanto rassegnato dall’imputata nel corso del proprio esame ma anche la testimonianza dell’avvocato ###; cfr. atto di appello, spec. p. 3 s.). Tuttavia, la Corte di appello in maniera del tutto assertiva ha affermato che l’imputata, per il solo fatto di aver comunicato («sia pure tramite messenger») «con un profilo Facebook riconducibile ad un’associazione, non pote non avere la consapevolezza che agli scritti avessero accesso quantomeno in componenti del direttivo dell’associazione», dovendosi pertanto ritenere la sussistenza, in capo a lei, «quanto meno della previsione e dell’accettazione dell’evento» e, dunque, del dolo eventuale (cfr. sentenza impugnata, p. 8), senza argomentare in ordine alle allegazioni difensive e senza indicare gli elementi (incompatibili con esse e, dunque, atto a disattenderle) sulla scorta dei quali inferire che ella avesse contezza che i membri del direttivo avessero accesso alla conversazione in discorso, contezza tratta in maniera apodittica dalla riferibilità del profilo telematico in discorso alla medesima associazione. Ne deriva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione: il fatto è, infatti, stato commesso il giorno 12 novembre 2015 e il termine massimo di prescrizione, pari a sette anni e sei mesi (artt. 157 e 161 cod. pen.) è spirato il 27 dicembre 2023, pur considerando il tempo in cui è rimasto sospeso (229 giorni in ragione del differimento, per legittimo impedimento del difensore, dell’udienza del 13 giugno 2018 al 19 ottobre 2018; di quest’ultima udienza a quella del 25 gennaio 2019; di questa al 12 aprile 2019, rinvii tutti da computarsi nei limiti di 60 giorni; nonché per il differimento, sempre per legittimo impedimento del difensore, dell’udienza del 12 aprile 2019 al 31 maggio 2019). Deve, dunque, disporsi l’annullamento della sentenza impugnata agli effetti civili (art. 622 cod. proc. pen.), con rinvio per nuovo giudizio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, cui si rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla altresì la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio. Così deciso il 02/07/2024. Il Consigliere estensore Il Presidente Giovanni Francolini Enrico Vittorio Stanislao Scarlini”. Così Suprema Corte di Cassazione, Sez. 5 – , Sentenzan.36217del 02/07/2024 Ud.  (dep. 27/09/2024 ) Rv. 286934 – 01 Presidente: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO.Estensore: FRANCOLINI GIOVANNI.Relatore: FRANCOLINI GIOVANNI.Imputato: ###.P.M. PASSAFIUME SABRINA.(Conf.) Annulla senza rinvio, CORTE APPELLO L’AQUILA, 22/11/2023. […] Read more…
Mancata impugnazione della sentenza, riduzione di un sesto a norma dell’art. 442, comma 2-bis c.p.p. e sospensione condizionale della pena in sede esecutivaMancata impugnazione della sentenza, riduzione di un sesto a norma dell’art. 442, comma 2-bis c.p.p. e sospensione condizionale della pena in sede esecutiva
18/12/2024“1. Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 19 aprile 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ancona, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha parzialmente accolto l’istanza avanzata nell’interesse di ### ###, condannato, con sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del suddetto Tribunale del 5 dicembre 2023, irrevocabile il 20 marzo 2024, alle pena di anni due, mesi quattro di reclusione ed euro 800,00 di multa, istanza finalizzata all’applicazione della riduzione della frazione di un sesto della pena, per omessa proposizione dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., e, una volta rideterminata la pena, alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art. 163 cod. pen. Il giudice dell’esecuzione, dopo l’instaurazione del contraddittorio, ritenuta l’applicabilità dell’art. 442, comma 2-bis, cit., ha rideterminato la pena inflitta, rigettando nel resto la domanda. Quanto alla prospettazione disattesa, il giudice dell’esecuzione, pur dopo aver ridotto la pena irrogata ad anni uno, mesi undici, giorni dieci di reclusione ed euro 667,00 di multa, ha ritenuto che, ai fini della verifica dei presupposti per la concessione della sospensione condizionale, la pena rilevante fosse sempre quella irrogata nel giudizio di cognizione, eccedente il limite di legge. Siccome la riduzione della pena di un sesto a cui ### aveva diritto veniva determinata in sede esecutiva, senza che l’art. 676 cod. proc. pen. avesse contemplato la possibilità di adottare in quella sede quel provvedimento ulteriore, mentre per altri ambiti ciò era stato espressamente previsto, al giudice dell’esecuzione non è stato consentito di esercitare in quel caso un potere non conferitogli dall’ordinamento. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore di ### ### chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a un unico motivo con cui lamenta l’inosservanza dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 671, 673 e 676 cod. proc. pen., e manifesta illogicità della motivazione. Secondo la difesa, l’affermazione del giudice dell’esecuzione ha aderito a una linea interpretativa orientata per l’assoluta intangibilità del giudicato per concludere nel senso della non deducibilità in sede esecutiva dell’applicazione della sospensione condizionale della pena inflitta, divenuta, in virtù della riduzione per la mancata impugnazione della sentenza di condanna all’esito di abbreviato, compatibile con la disciplina dell’art. 163 cod. pen. Il ricorrente fa osservare che, contrariamente alla tesi sviluppata nel provvedimento oggetto di verifica, si è andato man mano affermando un orientamento che valorizza la funzione del giudice dell’esecuzione al fine di intervenire, quanto alla concessione della sospensione condizionale, in sede esecutiva al fine permettere l’esame del relativo punto a seguito delle novità che hanno mutato la situazione a suo tempo esaminata dal giudice della cognizione: si cita, al riguardo, oltre al caso testuale dell’applicazione della continuazione in sede esecutiva, secondo la disciplina dettata dall’art. 671 cod. proc. pen., anche quella della revoca di condanna per un reato determinata da abolitio criminis, con il richiamo dell’evoluzione giurisprudenziale registratasi sull’argomento anche per l’intervento delle Sezioni Unite. Nella complessiva situazione esaminata, non si ravvisano, da parte della difesa, ragioni logiche che spieghino perché la riduzione disposta ai sensi dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. non debba concorrere alla determinazione della pena ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena, di guisa che, essendo il giudice dell’esecuzione a determinare la corrispondente riduzione, nei suoi poteri deve rientrare anche quello di emettere i provvedimenti conseguenti e, in particolare, la sospensione condizionale della pena stessa. In questa prospettiva, secondo il ricorrente, ove si pervenisse a negare la possibilità dell’esame dell’istanza di sospensione condizionale in sede esecutiva, si approderebbe a una decisione chiaramente contrastante con i principi di parità di trattamento e di legalità, inverati negli artt. 3, 25 e 27 Cost.  3. Il Procuratore generale, con requisitoria articolata, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto, al di fuori dell’art. 671 cod. proc. pen., norma eccezionale, non si prevede la possibilità di concessione della sospensione condizionale della pena in sede esecutiva e l’elaborazione giurisprudenziale si è costantemente espressa in tal senso, non essendo interpretabile in senso contrario l’orientamento maturato in caso di revoca della sentenza di condanna relativamente a reato determinata da abolitio criminis o da dichiarazione di incostituzionalità, per cui il giudice dell’esecuzione si è correttamente attenuto all’orientamento costante, senza violare alcuno dei principi indicati dal ricorrente.  CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, rigettato per le ragioni di seguito precisate. 2. È opportuno premettere che l’oggetto del ricorso, al di là del più vasto spettro della materia dedotta innanzi al giudice dell’esecuzione, inerisce esclusivamente alla giuridica possibilità di concedere o meno da parte del giudice dell’esecuzione la sospensione condizionale nell’ipotesi — verificatasi in questo frangente — in cui il condannato, per effetto dell’omessa proposizione dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., della sentenza resa all’esito di giudizio abbreviato, abbia fruito della corrispondente riduzione di pena e, per tale riduzione, la pena stessa si sia ridimensionata in entità per la quale sarebbe divenuta ammissibile, in punto di principio, la concessione della sospensione condizionale della sua esecuzione. Il contraddittorio su questo argomento si è sviluppato in modo rituale. All’esito il giudice dell’esecuzione ha ritenuto esulante dai suoi poteri quello di concedere, all’esito della riduzione della pena garantita dalla norma suindicata al condannato che non impugni la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti in giudizio svoltosi con il rito abbreviato, in quanto la legge nulla ha previsto in merito e si tratterebbe di ascrivere alla fase esecutiva di un provvedimento ordinariamente previsto per la fase cognitoria.3. Posto ciò, la prospettazione formulata dal ricorrente, volta a far applicare la sospensione condizionale della pena nella fase esecutiva all’esito della suddetta riduzione di pena, ma al di fuori dell’ambito espressamente segnato dalla legge, non può trovare accoglimento. 3.1. In via ordinaria, la sospensione condizionale dell’esecuzione della pena forma oggetto di valutazione da parte del giudice della cognizione, che la concede o la nega formulando le relativa prognosi, pur quando non sussistano precedenti ostativi, secondo la disciplina fissata dagli artt. 163 e ss. cod. pen. In prima approssimazione, quindi, la sospensione condizionale della pena può essere riconosciuta esclusivamente dal giudice della cognizione, che deve valutare la sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive richieste dall’art. 163 cod. pen., mentre, in sede esecutiva, il beneficio può essere concesso solo in applicazione della disciplina del concorso formale o della continuazione (Sez. 3, n. 29162 del 27/06/2012, ####, Rv. 253164 – 01). Si è affermato, in tal senso, che in ambito esecutivo, non è suscettibile di applicazione analogica la previsione di cui all’art. 671, comma 3, cod. proc. pen.:  ciò, anche nel caso in cui le pene ostative alla concessione della sospensione condizionale siano state dichiarate estinte per indulto, posto che la concessione di tale beneficio, pur estinguendo la pena e facendone cessare l’espiazione, non elimina gli altri effetti penali scaturenti ope legis dalla condanna (Sez. 1, n. 29877 del 24/03/2023, ###, Rv. 284972 – 01; v. anche Sez. 7, ord., n. 31091 del 15/10/2020, ###, Rv. 279875 – 01). Oltre alla disciplina specifica di cui all’art. 671 cod. proc. pen. (la cui tenuta costituzionale, per aspetti diversi dalla problematica che segue, è stata saggiata: Sez. 3, n. 528 del 05/02/1996, ###, Rv. 204701 – 01; v. inoltre Sez. 1, n. 49582 del 21/09/2022, ###, Rv. 284008 – 01, per la puntualizzazione delle coordinate ermeneutiche inerenti alla norma, anche per ciò che concerne il beneficio della non menzione), si rileva un concreto spazio applicativo dell’istituto della sospensione condizionale in executivis con riferimento alla fattispecie regolata dall’art. 673 cod. proc. pen. In particolare, il giudice dell’esecuzione, qualora, in applicazione di tale norma, pronunci per intervenuta abolitio criminis ordinanza di revoca di precedenti condanne, le quali siano state a suo tempo di ostacolo alla concessione della sospensione condizionale della pena per altra condanna, può, nell’ambito dei “provvedimenti conseguenti” alla suddetta pronuncia, concedere il beneficio, previa formulazione del favorevole giudizio prognostico richiesto dall’art. 164, primo comma, cod. pen., sulla base non solo della situazione esistente al momento in cui era stata pronunciata la condanna in questione, ma anche degli elementi sopravvenuti (Sez. U, n. 4687 del 20/12/2005, dep. 2006, ###, Rv. 232610 – 01); ciò, con la doverosa puntualizzazione che, qualora il giudice dell’esecuzione, pronunci, in applicazione dell’art. 673 cod. proc. pen., per intervenuta abolitio criminis, ordinanza di revoca di precedenti condanne, le quali siano state a suo tempo di ostacolo alla concessione della sospensione condizionale della pena per altra condanna, non può – nell’ambito dei “provvedimenti conseguenti” alla suddetta pronuncia – concedere il beneficio, previa formulazione del favorevole giudizio prognostico richiesto dall’art 164 cod. pen., quando per farlo si determini a esprimere proprie e autonome valutazioni tali da porsi in contrasto con quelle già formulate dal giudice della cognizione (Sez. 1, n. 33817 del 20/06/2014, ###, Rv. 261433 – 01). 3.2. D’altro canto, sia il caso dell’abolitio criminis, sia quello inerente alla declaratoria dell’illegittimità costituzionale della norma incriminatrice determinano sopravvenienze che incidono sul quadro sanzionatorio, per così dire, genetico, nel senso che, la valutazione prognostica da effettuarsi ai sensi dell’art. 164 cod. pen. – in thesi non compiuta in allora – diviene possibile alla stregua del novum sopravvenuto, idoneo a incidere sull’ammissibilità della valutazione che avrebbe dovuto farsi se esso fosse maturato in sede cognitiva. Non può assimilarsi alle ipotesi suddette, suggestivamente evocate dal ricorrente, il caso previsto ora dall’art. 676 cod. proc. pen. in relazione alla fattispecie della modificazione della pena regolata dall’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. Essa afferisce, indubbiamente, a uno snodo peculiare, perché determina la riduzione della pena – come però definitivamente irrogata nel giudizio di cognizione – quale beneficio premiale per la scelta di non proseguire il giudizio stesso in sede impugnatoria. È vero che la riduzione di pena matura prima che la pena stessa venga posta in esecuzione, ponendosi essa a cavallo fra la definizione della cognizione e la promozione della fase esecutiva. Ma resta il dato di fatto che il giudice della cognizione, avendo irrogato una pena detentiva superiore ai limiti fissati dall’art. 163 cod. pen., non aveva, in radice, la possibilità giuridica di formulare la valutazione prognostica di cui all’art. 164 cod. pen. Poi, il giudice dell’esecuzione, operando la riduzione automatica derivante dalla mancata impugnazione per cui aveva optato il condannato, ha determinato una pena inferiore ai suddetti limiti fissati dall’art. 163 cod. pen. Però, tale riduzione è intervenuta comunque – e necessariamente – in sede esecutiva, senza che tale postuma modificazione della pena appaia poter influire sugli effetti penali derivanti dalla sua determinazione in sede cognitiva, in mancanza di un’espressa indicazione del legislatore in tal senso. In carenza di una tale indicazione, deve concludersi che è stato evocato da ### un potere non assegnato al giudice dell’esecuzione.  3.3. In merito a questa prospettazione, occorre dunque arrestarsi al rilievo che il riesame in sede esecutiva del punto inerente alla concessione della sospensione condizionale della pena al di fuori dei casi previsti dalla legge non è suscettibile di ammissione generalizzata. Far riferimento, come ha prospettato il ricorrente, all’emanazione dei provvedimenti conseguenti alla disposizione di riduzione della pena, provvedimenti che, anche ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen. – disposizione nell’ambito della quale, prima, il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nel comma 1, e, poi, il d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31, nel comma 3-bis, hanno collocato la disciplina processuale dell’applicazione della riduzione di pena stabilita dall’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. -, competono al giudice dell’esecuzione quando esercita i suoi poteri nella corrispondente sfera di competenze, non appare dirimente. Si considera in contrario che per la stessa estinzione del reato i provvedimenti conseguenti non annoverano in modo meccanicistico e  generalizzato la esaminabilità o riesaminabilità della questione della sospensione condizionale, in relazione alla modificazione o elisione del corrispondente effetto condannatorio. Si richiama, fra l’altro, l’affermazione che, in tema di sentenza di patteggiamento, l’estinzione degli effetti penali conseguente, ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., all’utile decorso del termine di due o cinque anni (secondo che si tratti di delitto o di contravvenzione), deve intendersi limitata, con riferimento alla reiterabilità della sospensione condizionale, ai soli casi in cui sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, con la conseguenza che, ove sia stata applicata una sanzione detentiva, di questa occorre comunque tenere conto ai fini della valutazione, imposta dagli artt. 164, ultimo comma, e 163 cod. pen. circa la concedibilità di un secondo beneficio (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, ###, Rv. 218529 – 01; fra le successive, Sez. 1, n. 47647 del 18/04/2019, ###, Rv. 277457 – 01; Sez. 6, n. 27589 del 22/03/2019, P., Rv. 276076 – 01). 3.4. Pertanto, deve ritenersi non superabile rispetto alla proposta ermeneutica coltivata dalla difesa la constatata carenza, nel descritto sistema, della norma attributiva al giudice dell’esecuzione del potere di prendere in esame la questione della sospensione condizionale all’esito della riduzione di pena disposta ai sensi dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen.. 4. Corollario delle considerazioni svolte è che l’impugnazione deve essere rigettata. Alla reiezione del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 9 luglio 2024”. Così Sez. 1, Sentenza n. 37899 del 09/07/2024 Cc.  (dep. 15/10/2024) Rv. 287012 – 01 Presidente: DI NICOLA VITO.  Estensore: SIANI VINCENZO.  Relatore: SIANI VINCENZO.  Imputato: ###. P.M. GARGIULO RAFFAELE. (Parz. Diff.) Rigetta, GIP TRIBUNALE ANCONA, 19/04/2024. […] Read more…
Violenza di genere, femminicidi, stalking, codice rosso e gli interventi volti alla difesa delle persone vulnerabili: il divieto di avvicinamento luoghi frequentati dalla persona offesaViolenza di genere, femminicidi, stalking, codice rosso e gli interventi volti alla difesa delle persone vulnerabili: il divieto di avvicinamento luoghi frequentati dalla persona offesa
13/12/2024Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE Presidente: BARBERA – Redattore: PETITTI Camera di Consiglio del 15/10/2024;    Decisione  del 15/10/2024 Deposito del 04/11/2024;   Pubblicazione in G. U. 06/11/2024  n. 45 Norme impugnate: Art. 282 ter, c. 1° e 2°, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 12, c. 1°, lett. d), numeri 1) e 2), della legge 24/11/2023. n. 168. Massime:  46398 Atti decisi: ord. 17/2024 Pronuncia SENTENZA N. 173 ANNO 2024 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 282-ter, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 12, comma 1, lettera d), numeri 1) e 2), della legge 24 novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Modena, nel procedimento penale a carico di A. M., con ordinanza del 15 dicembre 2023, iscritta al n. 17 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2024. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024 il Giudice relatore Stefano Petitti; deliberato nella camera di consiglio del 15 ottobre 2024. Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 15 dicembre 2023, iscritta al n. 17 del registro ordinanze 2024, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Modena ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 282-ter, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 12, comma 1, lettera d), numeri 1) e 2), della legge 24 novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica), nella parte in cui, disciplinando la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, «non consente al giudice, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto e motivando sulle stesse, di stabilire una distanza inferiore a quella legalmente prevista di 500 metri» e al contempo «prevede che, qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle modalità di controllo, il giudice debba necessariamente imporre l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi, senza, invece, possibilità di valutare e motivare, pur garantendo le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., la non necessità di applicazione del dispositivo elettronico di controllo nel caso concreto». Il giudice a quo espone che nei confronti di A. M. – indagata del reato di atti persecutori, aggravato da preesistente relazione affettiva, a norma dell’art. 612-bis, secondo comma, del codice penale – è stata applicata in data 11 dicembre 2023, su conforme richiesta del pubblico ministero, la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, alla di lui madre e alla nuova fidanzata, con l’attivazione del dispositivo elettronico di controllo remoto e con la prescrizione di mantenere dalla persona offesa e dai luoghi dalla stessa abitualmente frequentati – allo stato individuati nella casa di abitazione e nel luogo di lavoro – una distanza di almeno cinquecento metri. L’ordinanza di rimessione aggiunge che i Carabinieri delegati per l’esecuzione della misura hanno evidenziato non esservi nel luogo di residenza dell’indagata una copertura della rete mobile sufficiente al funzionamento del dispositivo elettronico di controllo e non essere comunque possibile l’osservanza della distanza minima legale di cinquecento metri, attese le modeste dimensioni del centro abitato, tali che l’indagata stessa, non solo per andare a lavoro, ma anche per recarsi eventualmente in municipio, farmacia, ufficio postale o alla caserma dei Carabinieri, si troverebbe sempre costretta ad avvicinarsi troppo alla casa della persona offesa. 1.1.– In ordine alla rilevanza delle questioni sollevate, il giudice a quo assume che, alla luce delle censurate previsioni, la fattuale impossibilità di eseguire la misura disposta imporrebbe l’applicazione di una misura più grave, eventualmente congiunta alla prima, della quale tuttavia non vi sarebbe nella specie un’effettiva necessità, posto che l’indagata è persona incensurata, ha una stabile occupazione lavorativa ed è madre di due minori. D’altro canto, non sarebbe praticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che le norme in questione, per effetto delle modifiche operate dalla legge n. 168 del 2023, stabiliscono testualmente e inderogabilmente sia la distanza minima di cinquecento metri, sia l’impiego del dispositivo di controllo elettronico, senza lasciare al giudice alcun margine di discrezionalità. 1.2.– In ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente deduce che le disposizioni censurate appaiono «travalicare i limiti della ragionevolezza e della proporzione, quali corollari del principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 Cost.». Invero, il carattere fisso della distanza minima di cinquecento metri e l’effetto di aggravamento della misura determinato dagli ostacoli tecnici inerenti al dispositivo di controllo impedirebbero di «tenere conto della gravità del fatto, della personalità dell’indagato e di altre specificità che possono presentarsi nel caso sottoposto al giudice (quali, come nel caso di specie, la concreta conformazione del territorio)». In particolare, la distanza minima di cinquecento metri, ragionevole per i grandi centri urbani, nei comuni di piccole dimensioni negherebbe di fatto l’accesso a molti servizi fondamentali, anche attinenti alla salute, risultando quindi insufficiente la previsione del comma 4 dello stesso art. 282-ter cod. proc. pen., il quale consente una modulazione del divieto solo per motivi di lavoro o per esigenze abitative. Risulterebbe altresì violato l’art. 13 Cost., sotto il profilo della riserva di giurisdizione sulla misura restrittiva della libertà personale, in quanto sia l’estensione dell’area interdetta, sia le conseguenze di aggravamento degli ostacoli tecnici, sarebbero stabilite dal legislatore «direttamente ed indiscriminatamente». 2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi le questioni non fondate. Ad avviso dell’interveniente, la predeterminazione normativa della distanza di cinquecento metri, «proprio in considerazione della limitazione dei diritti dell’indagato, appare conforme ai principi di legalità e determinatezza delle misure cautelari». D’altronde, il giudice conserverebbe ampia discrezionalità nell’applicazione «delle comuni regole di valutazione dell’adeguatezza e della proporzionalità della misura per il caso concreto». Anche nell’ipotesi di non fattibilità tecnica del controllo elettronico non sarebbe preclusa, e sarebbe anzi doverosa, «l’applicazione graduale delle varie prescrizioni», secondo i criteri generali di cui all’art. 275 cod. proc. pen. Considerato in diritto 1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il GIP del Tribunale di Modena ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 282-ter, commi 1 e 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 12, comma 1, lettera d), numeri 1) e 2), della legge n. 168 del 2023. Nel prevedere come inderogabili la distanza minima di cinquecento metri e l’attivazione del dispositivo di controllo elettronico, quali forme esecutive della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, e prescrivendo l’applicazione di ulteriori anche più gravi misure cautelari nell’ipotesi di non fattibilità tecnica del controllo remoto, le disposizioni censurate violerebbero gli artt. 3 e 13 Cost. La rigidità applicativa di tali disposizioni impedirebbe al giudice di adeguare la misura coercitiva alle esigenze cautelari della fattispecie concreta, sicché le disposizioni stesse, per un verso, travalicherebbero «i limiti della ragionevolezza e della proporzione, quali corollari del principio di uguaglianza», per l’altro, invaderebbero la riserva di giurisdizione concernente la restrizione della libertà personale dell’indagato. 2.– Intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto dichiararsi le questioni non fondate, sull’assunto che le norme contestate non privino il giudice della discrezionalità necessaria ad attuare gli ordinari criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare. 3.– Le questioni non sono fondate, nei termini che seguono. 4.– La diffusione della violenza di genere e dei femminicidi ha indotto il legislatore a reiterati interventi volti alla difesa delle persone vulnerabili. Una componente essenziale del disegno legislativo è rappresentata dalle misure cautelari, specificamente l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, misure disciplinate, rispettivamente, dagli artt. 282-bis e 282-ter cod. proc. pen. La rilevanza funzionale di queste misure è sottolineata dall’essere le stesse puntuale trasposizione dell’ordine di protezione europeo, di cui al decreto legislativo 11 febbraio 2015, n. 9 (Attuazione della direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011 sull’ordine di protezione europeo), sia nella procedura “attiva”, quando cioè l’ordine è emesso dal giudice italiano (art. 5), sia nella procedura “passiva”, nella quale il giudice italiano riconosce un ordine emesso all’estero (art. 9). 4.1.– Il divieto di avvicinamento è stato previsto già dall’art. 282-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 2, della legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari). Come detto, l’art. 282-bis disciplina l’allontanamento dalla casa familiare, ma, al comma 2, prevede l’eventuale ordine aggiuntivo di non avvicinamento «a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa». Successivamente, l’avvertita necessità di includere nella sfera di protezione le relazioni non fondate sulla condivisione della casa familiare ha portato il legislatore a configurare il divieto di avvicinamento anche quale misura autonoma, a tal fine provvedendo l’art. 282-ter cod. proc. pen., inserito dall’art. 9, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38. L’art. 7, comma 1, dello stesso d.l. n. 11 del 2009, come convertito, ha inserito altresì l’art. 612-bis cod. pen., introducendo il reato di atti persecutori (cosiddetto stalking), rispetto al quale la misura cautelare del divieto di avvicinamento ha una specifica funzione protettiva. 4.2.– L’art. 15, comma 2, della legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere) – nota come legge sul “codice rosso” – ha aggiunto, alla fine del comma 1 dell’art. 282-ter cod. proc. pen., le parole «anche disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis», vale a dire l’utilizzo dei mezzi tecnici di controllo remoto che l’art. 275-bis cod. proc. pen. prevede per gli arresti domiciliari. La possibilità di assistere il divieto di avvicinamento con il dispositivo di controllo tecnico – cosiddetto braccialetto elettronico – ha corrisposto all’esigenza di accentuare la funzione protettiva della misura, che per i reati di genere si pone in termini peculiari. 4.3.– Il controllo elettronico è stato introdotto appunto per gli arresti domiciliari, con l’inserimento dell’art. 275-bis cod. proc. pen., ad opera dell’art. 16, comma 2, del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza dell’Amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, nella legge 19 gennaio 2001, n. 4. Il testo originario dell’art. 275-bis rimetteva l’applicazione del controllo remoto al giudice («se lo ritiene necessario»), mentre il testo odierno, modificato dall’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 10, sancisce una presunzione relativa di adeguatezza di tali procedure tecniche («salvo che le ritenga non necessarie»), sicché gli arresti domiciliari con controllo elettronico sono adesso la regola e quelli “semplici” l’eccezione (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 aprile-19 maggio 2016, n. 20769). 4.4.– Quale modalità esecutiva del divieto di avvicinamento, il controllo elettronico ha una funzione dedicata, che ne distingue la stessa operatività pratica. Invero, mentre negli arresti domiciliari il braccialetto è un presidio unidirezionale, che consente alle forze dell’ordine di monitorare un’eventuale evasione, nel divieto di avvicinamento esso è un presidio bidirezionale, che, in caso di avvicinamento vietato, allerta non solo le forze dell’ordine, ma anche la vittima, dotata di apposito ricettore. Il divieto di avvicinamento può essere sia un divieto “fisso”, riferito a luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa – luoghi che occorre dunque indicare nell’ordinanza applicativa (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 29 aprile-28 ottobre 2021, n. 39005) –, sia un divieto “mobile”, riferito proprio alla persona offesa, nel qual caso l’avvicinamento può dipendere anche dalla casualità degli spostamenti e la pertinente segnalazione si rivela viepiù essenziale in funzione di allerta. 4.5.– Ispirata dalla ratio di massimizzare la capacità difensiva del tracciamento di prossimità, la legge n. 168 del 2023 (“nuovo codice rosso”) ha reso obbligatorio il controllo elettronico nel divieto di avvicinamento: l’art. 12, comma 1, lettera d), numero 1), ha eliso la congiunzione «anche» che nel testo anteriore del comma 1 dell’art. 282-ter cod. proc. pen. precedeva l’inciso «disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis»; e ha pure stabilito che, «qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi». In funzione della medesima ratio di tutela, sempre l’art. 12, comma 1, lettera d), numero 1), della citata legge ha ulteriormente modificato il comma 1 dell’art. 282-ter cod. proc. pen., fissando una distanza minima per il divieto di avvicinamento, che deve essere «comunque» non inferiore a cinquecento metri. L’art. 12, comma 1, lettera d), numero 2), della stessa legge, modificando il comma 2 dell’art. 282-ter cod. proc. pen., ha riferito la distanza minima e il controllo elettronico obbligatorio pure all’eventuale tutela dei prossimi congiunti della persona offesa e delle persone con questa conviventi o a questa legate da relazione affettiva. Analoghe modifiche normative – circa la distanza minima di cinquecento metri, l’applicazione obbligatoria del braccialetto elettronico e le conseguenze della sua non fattibilità tecnica – hanno riguardato il divieto di avvicinamento quale prescrizione accessoria dell’ordine di allontanamento dalla casa familiare, per effetto dell’intervento sul comma 6 dell’art. 282-bis cod. proc. pen. operato dall’art. 12, comma 1, lettera c), numeri 3) e 4), della più volte citata legge n. 168 del 2023. 4.6.– Le sopra descritte modifiche non hanno viceversa interessato il divieto di avvicinamento disposto in fase precautelare, quale prescrizione accessoria dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, di cui all’art. 384-bis cod. proc. pen., norma, quest’ultima, inserita dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con modificazioni, nella legge 15 ottobre 2013, n. 119. Nonostante sia intervenuta anche sulla disciplina di questa misura precautelare, in origine adottabile solo in flagranza di reato, e ora invece anche al di fuori di essa, la legge n. 168 del 2023, all’art. 11, comma 1, non ha esteso a tale misura l’irrigidimento delle modalità esecutive viceversa previsto per la misura cautelare. 5.– Ad avviso del rimettente, l’inderogabilità della distanza minima di cinquecento metri e l’obbligatorietà del dispositivo di controllo elettronico renderebbero la misura cautelare del divieto di avvicinamento tanto rigida da precluderne ogni adeguamento alle esigenze cautelari del caso concreto, imponendone peraltro l’aggravamento nel caso in cui – come nella specie – le piccole dimensioni del centro abitato e l’assenza di una sufficiente copertura di rete, aspetti evidentemente non imputabili all’indagato, determinino l’oggettiva inattuabilità di una misura siffatta. Tali argomenti intendono evocare la giurisprudenza costituzionale sugli automatismi nelle misure cautelari, sebbene già in prima battuta debba notarsi che l’applicazione del braccialetto elettronico non è di per sé una misura cautelare, ma ne è soltanto una modalità applicativa (Cass., sez. un., sentenza n. 20769 del 2016). 5.1.– A partire dalla sentenza n. 265 del 2010 (ma in senso analogo già la sentenza n. 299 del 2005), questa Corte ha più volte affermato che la coercizione cautelare, in ossequio al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e al favor libertatis ex art. 13 Cost., deve rispondere ai criteri del minor sacrificio necessario e dell’individualizzazione, non essendo tollerabili automatismi, né presunzioni assolute (l’indirizzo è compendiato dalla sentenza n. 232 del 2013 e in ultimo richiamato dalla sentenza n. 22 del 2022). Detto orientamento ha trasformato da assoluta in relativa la presunzione di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere per gran parte dei reati elencati dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., fino al recepimento del principio nell’art. 4, comma 1, della legge 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità), che, intervenendo proprio sull’art. 275, comma 3, ha mantenuto la presunzione assoluta unicamente per i delitti associativi di cui agli artt. 270, 270-bis e 416-bis cod. pen. Con riferimento a tale tipologia di reati, e al persistente automatismo custodiale, questa Corte, investita delle censure ex artt. 3, 13 e 27 Cost., ha dichiarato le stesse manifestamente infondate (ordinanza n. 136 del 2017, per il reato ex art. 416-bis cod. pen.) o non fondate (sentenza n. 191 del 2020, per il reato ex art. 270-bis cod. pen.). Tali decisioni hanno fatto leva sull’eccezionale pericolosità correlata alla normale persistenza del vincolo associativo (mafioso o terroristico), a fronte della quale si è ritenuto non censurabile il bilanciamento effettuato dal legislatore, con la finalità di prevenire il rischio di un’«eventuale sopravvalutazione, da parte del giudice, dell’adeguatezza di una misura non carceraria» (sentenza n. 191 del 2020). 5.2.– Nel porre le norme oggi in scrutinio a confronto con il richiamato indirizzo giurisprudenziale, va tenuto presente che esse non hanno ad oggetto la misura cautelare estrema – vale a dire la custodia in carcere –, ma una misura cautelare di assai minore impatto sulla libertà personale dell’indagato, qual è il divieto di avvicinamento, e con riferimento solo a particolari modalità applicative di tale divieto, inerenti alla distanza minima e al controllo remoto. Ogni considerazione si sposta quindi sul piano del bilanciamento tra i valori in tensione: da un lato, la libertà di movimento della persona indagata, dall’altro, l’incolumità fisica e psicologica della persona minacciata. 5.3.– Il braccialetto elettronico – dispositivo di scarso peso, applicato alla caviglia dell’indagato e quindi normalmente invisibile ai terzi – non impedisce alla persona soggetta al divieto di avvicinamento di uscire dalla propria abitazione e soddisfare tutte le proprie necessità di vita, purché essa non oltrepassi il limite dei cinquecento metri dai luoghi specificamente interdetti o da quello in cui si trova la vittima del reato in relazione al quale il divieto stesso è stato disposto. La distanza indicata non appare in sé esorbitante, e corrisponde alla funzione pratica del tracciamento di prossimità, che è quella di dare uno spazio di tempo sufficiente alla potenziale vittima di più gravi reati per trovare sicuro riparo e alle forze dell’ordine per intervenire in soccorso. Negli abitati più piccoli la distanza di cinquecento metri può rivelarsi stringente, ma, ove ciò si verifichi, all’indagato ne viene un aggravio che può ritenersi sopportabile, quello di recarsi nel centro più vicino per trovare i servizi di cui necessita, senza rischiare di invadere la zona di rispetto. Qualora poi rilevino «motivi di lavoro» o «esigenze abitative», la cui individuazione è rimessa al giudice che dispone la misura, il comma 4 dell’art. 282-ter cod. proc. pen. già consente al giudice stesso di stabilire modalità particolari di esecuzione del divieto di avvicinamento, restituendo così all’applicazione della misura margini di flessibilità. A un sacrificio relativamente sostenibile per l’indagato si contrappone l’impellente necessità di salvaguardare l’incolumità della persona offesa, la cui stessa vita è messa a rischio dall’imponderabile e non rara progressione dal reato-spia (tipicamente lo stalking) al delitto di sangue. 5.4.– Oltre che non irragionevole, questo bilanciamento asseconda il criterio di priorità enunciato dall’art. 52 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva con legge 27 giugno 2013, n. 77. Nel disciplinare le misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice, inclusive del divieto di avvicinamento, la norma convenzionale stabilisce infatti che deve darsi «priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo». Il controllo elettronico nell’attuazione delle ordinanze restrittive e degli ordini di protezione è inoltre specificamente previsto dalla direttiva (UE) 2024/1385 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica (considerando 46). 5.5.– L’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 282-ter cod. proc. pen. («qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi») sembra stabilire, con la locuzione «impone», un aggravamento automatico del divieto di avvicinamento, quale effetto di un dato oggettivo, non imputabile all’indagato, cioè appunto la «non fattibilità tecnica» del controllo elettronico. La norma può essere tuttavia interpretata in senso costituzionalmente adeguato, valorizzando la particella «anche», che vi figura a delimitare il comparativo «più gravi». Se ne trae conferma dal raffronto con il penultimo periodo dello stesso comma 1 dell’art. 282-ter cod. proc. pen., laddove, per la differente ipotesi nella quale il controllo elettronico risulti impossibile per il diniego di consenso dell’indagato, quindi per un fatto a lui imputabile, si prevede l’applicazione incondizionata «di una misura più grave». Pertanto, se l’indagato consente a indossare il dispositivo e questo non può funzionare per motivi tecnici (quale il difetto della copertura di rete), il giudice non è tenuto a imporre una misura più grave del divieto di avvicinamento, ma deve rivalutare le esigenze cautelari della fattispecie concreta, potendo, all’esito della rivalutazione, in base ai criteri ordinari di adeguatezza e proporzionalità, scegliere non solo una misura più grave (in primis, il divieto od obbligo di dimora ex art. 283 cod. proc. pen.), ma anche una misura più lieve (segnatamente, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ex art. 282 cod. proc. pen.). 5.6.– In buona sostanza, si riproduce per il divieto di avvicinamento, quindi per una misura di scala inferiore, il modulo di rivalutazione delle esigenze cautelari individuato dalle sezioni unite della Corte di cassazione per l’ipotesi di indisponibilità del braccialetto elettronico negli arresti domiciliari: inattuabili gli arresti con controllo elettronico, non subentra alcun automatismo, né a favore dell’indagato (arresti “semplici”), né a suo sfavore (custodia in carcere), occorrendo invece rivalutare l’idoneità, la necessità e la proporzionalità di ciascuna misura in relazione alle esigenze cautelari del caso concreto (Cass., sez. un., n. 20769 del 2016). Mutatis mutandis, impraticabile il divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico per ragioni di non fattibilità tecnica, il giudice deve rivalutare la fattispecie concreta senza preclusioni, né automatismi, e quindi, in aderenza alle regole comuni di adeguatezza e proporzionalità, come può aggravare la coercizione cautelare, così può alleviarla. 6.– Nei sensi sopra esposti, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal GIP del Tribunale di Modena vanno pertanto dichiarate non fondate. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 282-ter, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 12, comma 1, lettera d), numeri 1) e 2), della legge 24 novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Modena, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 2024. F.to: Augusto Antonio BARBERA, Presidente Stefano PETITTI, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 4 novembre 2024 Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA Per maggiori approfondimenti, vedi anche: Stalking, maltrattamenti e violenza sessuale: le vittime sono sempre ammesse al gratuito patrocinio, a prescindere dal reddito […] Read more…
Denuncia di Successione, il conferimento di una delega lo svolgimento di attività procuratoria e la ratificaDenuncia di Successione, il conferimento di una delega lo svolgimento di attività procuratoria e la ratifica
05/12/2024“Corte d’Appello di Ancona Sentenza n. 384/2024 del 05-03-2024 R.G. n. 503/2021 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA Riunita in camera di consiglio e composta da: Dott. Federico Guido, Marchetti Neda, Bellucci Cecilia Laura est. ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile in grado d’appello iscritto al n. 503/2021 R.G. (…) OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Urbino 239/2020, pubblicata il ### FATTI DI CAUSA I.) Il Tribunale di Urbino, con la sentenza indicata in epigrafe, pronunciando sulla domanda proposta da ###, quale procuratore di ### ### ha dichiarato che ### ed ### sono eredi legittimi, in misura di 1/3 ciascuno, di ### deceduto il ### in Cagli (PU), in ragione dell’intervenuta accettazione tacita dell’eredità del medesimo. Il giudice di primo grado ha ritenuto che la voltura catastale dell’immobile effettuata da ### quale coerede in misura di 1/3, era stata eseguita anche in favore dei due figli, in conformità alla norma di cui all’art. 581 c.c., tenuto conto anche del contegno inerte di ### e di ### (i quali non avevano rinunciato all’eredità), tale da sottintendere l’esistenza di un previo mandato alla madre e da risolversi nell’evidente ratifica delle operazioni compiute dalla ###. Il Tribunale ha inoltre condannato ### e ### costituiti nel giudizio di primo grado, al pagamento, in favore di ### s.p.a., della somma di €. 1.000,00, ciascuno, ai sensi dell’art. 96, ultimo comma, c.p.c., ed ha posto a carico degli stessi, in solido, le spese di lite, liquidate in €. 5.355,00 per compensi, con rimborso forfettario del 15% delle spese generali ed €. 268,00 per ulteriori spese, oltre C.P.A. e I.V.A. come per legge; ha infine compensato le spese di giudizio tra ### ### e la parte contumace, ### II.) ### ha proposto appello avverso la suddetta sentenza censurando le argomentazioni in base alle quali il primo giudice ha ravvisato l’intervenuta accettazione tacita di eredità (primi due motivi) ed ha ritenuto sussistente un abuso del processo attuato dal medesimo ### oltreché dalla madre (terzo motivo); ha chiesto, quindi, in riforma della sentenza impugnata, la reiezione delle domande avversarie. III.) Con separato atto ha proposto appello anche ### la quale, articolando due motivi di gravame, ha censurato le statuizioni di condanna al pagamento delle spese processuali e ai sensi dell’art. 96 c.p.c.: ha quindi chiesto, in riforma della sentenza impugnata, di accogliere le conclusioni articolate innanzi al Tribunale e quindi di “decidere secondo giustizia sulle domande proposte da ### compensando integralmente le spese del giudizio”. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.) Deve essere esaminata, preliminarmente, la eccezione di “carenza di legittimazione passiva/attiva della società” ### s.r.l., sollevata da ### con le note di trattazione scritta del 10.1.2022 (depositate per la prima udienza del 12.1.2022), illustrata con gli scritti difensivi finali: il predetto appellante ha contestato la sussistenza, in capo alla società costituitasi quale cessionaria del credito in sostituzione di ### s.p.a., della titolarità del diritto dedotto da quest’ultima a sostegno della domanda proposta in primo grado, non avendo la appellata dimostrato l’inclusione del credito per cui è causa tra quelli ceduti, per effetto della mancata produzione del contratto di cessione intervenuto con la ### cedente e dell’elenco delle posizioni cedute. 2.2) ### s.r.l. ha contestato la eccezione avversaria con la memoria di replica depositata ex art. 190 c.p.c. valorizzando l’estratto dell’avviso di cessione del credito per cui è causa, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 145 del 7/12/2021, in favore della ### S.r.l. (doc. n. 4 allegato alla comparsa di costituzione ed intervento in appello), in cui si legge che, tra i crediti ceduti, rientrano quelli derivanti da prestiti personali o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e giuridiche, i cui debitori sono stati classificati a sofferenza, compreso quindi, secondo l’appellata, anche il credito di cui si discute, vantato nei confronti di ### e la disponibilità, in capo ad ### s.r.l., del titolo esecutivo azionato nei confronti dell’appellante, dimostrata dalla avvenuta produzione del titolo stesso nel presente grado di giudizio ( doc. n. 5 contenuto nel fascicolo del procedimento di primo grado, allegato sub doc. n. 5 alla comparsa di ### del 5.1.2022). 2.3) La eccezione è fondata. La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’avvenuta cessione del credito è sufficiente a dispensare il cessionario dall’obbligo della notificazione ex art. 1264 c.c. nei confronti del debitore (Cass. ord. 20495/2020), ma non anche a provare la legittimazione processuale, poiché, come osservato dalla Suprema Corte, “la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta” (Cass. ord. 24798/2020). La giurisprudenza di legittimità ha altresì chiarito che “In tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi del D. lgs. n. 385 del 1993 art. 58 è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla ### recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione” (tra le altre, Cass. 15884/2019). Nel caso di specie la appellata ### s.r.l. ha allegato la copia della ### nella quale risulta pubblicato l’avviso di cessione in suo favore “di un portafoglio di crediti pecuniari (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni indennizzi e quant’altro) di titolarità ### – derivanti, per ciascuno di essi, da rapporti di credito ai consumatori, prestiti personali o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e persone giuridiche e i cui debitori sono stati classificati ‘a sofferenza’ ai sensi della ### della ### d’### n. 272/2008 (### dei ### e segnalati in ‘### dei ai sensi della ### della ### d’### 139/1991 (i ‘###), come risultanti da apposita lista in cui è indicato, con riferimento a ciascuno debitore ceduto, il codice identificativo del rapporto da cui ha avuto origine uno o più crediti vantati da ### nei confronti del relativo debitore ceduto. Tale lista è ### depositata presso il ### avente sede ###atto di deposito ### 8307 e ### 4797 e ### pubblicata, ai sensi dell’articolo 7.1 della Legge 130, sul seguente sito internet https://www.securitisation-services.com/it/ fino alla loro estinzione. I dati indicativi dei crediti ceduti, nonché la conferma dell’avvenuta cessione per i debitori ceduti che ne faranno richiesta, sono messi a disposizione da parte del cedente e del cessionario sul sito internet sopra indicato e resteranno disponibili fino all’estinzione del relativo credito ceduto”. La documentazione prodotta (avviso di cessione pubblicato nella G.U.) non contiene tutti gli elementi necessari al fine di identificare con precisione il credito, in modo tale da poter affermare con certezza la sua inclusione nella cessione. Il generico riferimento ad un “portafoglio di crediti” e la mancanza di qualsiasi specificazione del periodo al quale sono riconducibili i crediti ceduti non permettono di ritenere che tutti i crediti, compresi nelle categorie indicate, abbiano costituto oggetto di cessione né quindi di affermare con certezza la inclusione nella cessione ### del credito che ha dato origine alla azione proposta (originariamente da ### quale procuratore di ### s.p.a.), non essendo a tal fine sufficienti i riferimenti ad un link e ad una lista depositata presso il ### dovendo risultare già dall’avviso di pubblicazione, come innanzi rilevato, che il credito sia ricompreso tra quelli oggetto di cessione, senza alcun margine di incertezza. Né al fine di pervenire ad una diversa conclusione è decisivo il fatto che la odierna appellata abbia allegato in questa sede il fascicolo di parte del procedimento di primo grado contenente anche il decreto ingiuntivo (che rappresenta la fonte del credito nei confronti di ### fideiussore di ### titolare della impresa individuale “### di ###”), in mancanza di altri elementi di prova idonei a dimostrare la inclusione di quel credito nella operazione di cessione quali, per esempio, un estratto della lista depositata presso il ### richiamata nell’inserzione in G.U. da cui poter evincere chiaramente il nominativo del debitore, il codice identificativo del credito ceduto o, quantomeno, l’indicazione dello specifico rapporto di credito debito. Per le considerazioni svolte e alla luce dei principi affermati dalla Suprema Corte sopra illustrati, la documentazione prodotta non è idonea a documentare la effettiva titolarità del diritto di credito in base al quale è stata originariamente proposta la domanda giudiziale: in difetto di prova della qualità di cessionaria del credito in capo ad ### s.r.l. va accolta la eccezione sollevata dall’appellante e, di conseguenza, va dichiarata la inammissibilità dell’intervento della predetta società, costituitasi nel presente giudizio. 3.1.1) Passando ad esaminare i motivi di gravame articolati da ### si osserva che quest’ultimo, con il primo motivo, contesta la pronuncia impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto inverosimile che la ### nel procedere alla voltura catastale dell’immobile, abbia agito di sua iniziativa, senza alcun previo confronto con i figli, anzi nel dissenso di questi. Secondo l’appellante non è pertinente il richiamo al secondo comma dell’art. 115 c.p.c. poiché nella specie il Tribunale non ha applicato alcuna “nozione di fatto”, ma ha svolto solo illazioni personali prive di qualsiasi riferimento con la realtà processuale. ### inoltre si duole del fatto che il primo giudice ha erroneamente accomunato la posizione dei due convenuti costituiti, atteso che, mentre ### ha eccepito l’omessa prova di atti d’accettazione tacita dell’eredità, la ### non ha svolto alcuna attività difensiva, dichiarando di non opporsi all’accoglimento della domanda. Secondo l’appellante, inoltre, la decisione impugnata è in gran parte fondata su un’errata lettura degli atti processuali, posto che la ### non ha mai affermato di essere l’unica erede del coniuge defunto, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale. In ogni caso, l’appellante, contestando la ricostruzione operata dal primo giudice, esclude che ### e ### abbiano rilasciato un preventivo mandato alla madre (### per la presentazione della denuncia di successione e della domanda di voltura catastale, contestando altresì l’intervenuta ratifica di tali operazioni. 3.1.2) Il primo motivo di gravame è infondato. Invero, come chiarito dalla Suprema Corte, “l’accettazione tacita di eredità pur potendo avvenire attraverso negotiorum gestio, cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria – può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l’altro chiamato all’eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del de cuius (Cass. n. 8980/2017)” (cfr. civ., Sez. VI, n. ### del 11/11/2021). E’ pacifico che ### in seguito al decesso del coniuge avvenuto nel 1998, nel procedere alla dichiarazione di successione ed alla correlata voltura catastale dell’immobile ereditario, ha affermato la propria qualità di coerede nella misura di 1/3: il bene risulta intestato in tale misura alla medesima e ai due figli, ### e ### e sottoposto a pignoramento, limitatamente ai diritti di piena proprietà spettanti, per la quota di 1/3, a ### con atto notificato al medesimo il ###: tali circostanze risultano dagli scritti difensivi depositati dalle parti nel giudizio di primo grado e dalla documentazione dalle stesse prodotta nonché dalla domanda e relativo atto di voltura acquisiti in seguito all’ordine di esibizione e non hanno costituito oggetto di contestazione (v. fascicolo di primo grado e relativi atti e documenti, depositati in via telematica). ### alla richiesta di voltura catastale dell’immobile, oggetto del compendio ereditario, è ricollegabile ai componenti del nucleo familiare del defunto, costituito dalla moglie e dai due figli, tenuto conto dello strettissimo rapporto di parentela tra le parti e del fatto che l’acquisizione dell’immobile al patrimonio dei tre eredi, per successione legittima, rappresentava una naturale ed automatica conseguenza del loro interesse concreto, in mancanza di elementi contrari alla accettazione dell’eredità paterna da parte dei figli e, per quanto rileva in questa sede ###sono stati allegati dal medesimo nel corso del giudizio innanzi al Tribunale. In tale contesto, il lungo lasso di tempo trascorso dalla presentazione della denuncia di successione e dalla voltura catastale dell’immobile ereditario (1998) ed il fatto che ### in tale periodo, non ha posto in discussione l’operato della madre, neanche in seguito alla notifica dell’atto di pignoramento dei diritti di proprietà al medesimo spettanti sull’immobile ereditario (non risulta infatti che egli abbia contestato l’iniziativa del creditore procedente escludendo di essere comproprietario del bene pignorato), rappresentano elementi che, valutati complessivamente, inducono a ritenere sussistente la piena ratifica dell’operato della sig.ra ### che aveva effettuato la voltura anche nell’interesse dei figli e, in particolare, dell’appellante ###. Pertanto, poiché, per le considerazioni svolte, la voltura dell’immobile è riferibile anche a quest’ultimo, il motivo in esame va respinto. Da ciò discende che la parziale modifica della sentenza di primo grado non influisce in maniera significativamente apprezzabile sulla valutazione complessiva già eseguita dal giudice di primo grado ai fini della statuizione sulle spese di lite che va quindi confermata sia nella quantificazione che nella regolamentazione. P.Q.M. la Corte di Appello di Ancona, pronunciando sull’appello proposto da ### e su quello proposto da ### avverso la sentenza del Tribunale di Urbino n. 239/2020, pubblicata il ###, respinta ogni contraria e diversa istanza, così provvede: dichiara inammissibile l’intervento di ### ### costituitasi nel presente giudizio; in parziale accoglimento degli appelli e in parziale riforma della sentenza impugnata, revoca la pronuncia di condanna ai sensi dell’art. 96 III comma c.p.c. nei confronti di ### e di ### respinge per il resto gli appelli e conferma la sentenza impugnata; condanna ### ed ### in solido, a rifondere alla parte ricorrente le spese del giudizio di primo grado liquidate in €. 5.355,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, e in €. 286,00 per spese, ed oltre IVA e ### come per legge; compensa le spese del giudizio di primo grado tra la parte ricorrente e ### dichiara compensate tra tutte le parti le spese del presente grado di giudizio. Così deciso in Ancona il ###. […] Read more…
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