Appunti di Giurisprudenza on-line

Categoria: Diritto civile

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Le sentenze inventate o inesistenti ovvero le c.d. allucinazioni giurisprudenziali dell’intelligenza artificiale (AI): il caso ChatGPT al Tribunale di Firenze.

Il difensore della società costituita ha dichiarato che i riferimenti giurisprudenziali citati nell’atto sono stati il frutto della ricerca effettuata da una collaboratrice di studio mediante lo strumento dell’intelligenza artificiale “ChatGPT”, del cui utilizzo il patrocinatore in mandato non era a conoscenza. L’IA avrebbe dunque generato risultati errati che possono essere qualificati con il fenomeno delle cc.dd. allucinazioni di intelligenza artificiale, che si verifica allorché l’IA inventi risultati inesistenti ma che, anche a seguito di una seconda interrogazione, vengono confermati come veritieri. In questo caso, lo strumento di intelligenza artificiale avrebbe inventato dei numeri asseritamente riferibili a sentenze della Corte di Cassazione inerenti all’aspetto soggettivo dell’acquisto di merce contraffatta il cui contenuto, invece, non ha nulla a che vedere con tale argomento.

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I ‘like’ ad un post discriminatorio su Facebook possono costituire prove sufficienti per considerare il reato di istigazione all’odio razziale.

Integra il reato di cui all’art. 604-bis, comma secondo, cod. pen., l’adesione a una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione, sulle bacheche delle sue piattaforme “social”, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l’inserimento di “like” e il rilancio di “post” e dei correlati commenti, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei “social network”, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti.

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L’invio di messaggi su Messenger non è diffamazione senza dolo

In tema di delitti contro l’onore, l’elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Pertanto è necessario che l’autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalità che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento.