La VI Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione (sentenza 30/08/2010 n. 32404) ha confermato una custodia cautelare ai domiciliari, disposta dal tribunale di Potenza, nei confronti di un ragazzo accusato di “atti persecutori” (stalking) nei confronti della ex fidanzata. «Continui episodi di molestie, consistiti in telefonate, invii di sms, messaggi di posta elettronica e tramite Facebook, anche nell’ufficio dove lei lavorava» avevano portato il tribunale di Lagonegro nel febbraio 2010 a disporre la custodia cautelare in carcere per l’uomo dopo la denuncia della ragazza. In riforma del provvedimento, poi, il tribunale di Potenza aveva tramutato il carcere in arresti domiciliari. L’uomo, non rassegnato, aveva anche minacciato il nuovo compagno della ex spedendogli fotografie di rapporti sessuali della sua precedente relazione. Tali comportamenti sono stati ritenuti «minacciosi e molesti» e «gravi indizi di colpevolezza» anche i messaggi su Facebook, che avevano creato nella vittima «uno stato d’animo di profondo disagio e paura in conseguenza delle vessazioni patite».
I ‘like’ ad un post discriminatorio su Facebook possono costituire prove sufficienti per considerare il reato di istigazione all’odio razziale.
Integra il reato di cui all’art. 604-bis, comma secondo, cod. pen., l’adesione a una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione, sulle bacheche delle sue piattaforme “social”, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l’inserimento di “like” e il rilancio di “post” e dei correlati commenti, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei “social network”, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti.