1. Con ordinanza deliberata il 25 giugno 2021 il Tribunale di Roma, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza con cui il GIP aveva applicato a ### ### la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria in ordine al reato di cui all’art. 604-bis, secondo comma, cod. pen. (capo 1) e di quello previsto dagli artt. 604-bis e 604-ter cod. pen. (capo 2), escludendo l’aggravante di cui all’art. 604-ter cod. pen. Secondo i giudici della cautela, le emergenze investigative costituiscono una piattaforma indiziaria sufficiente, per la sua gravità, per ritenere sussistenti entrambi i reati e di ascriverli al ###. Il monitoraggio delle interazioni di tre distinte piattaforme social, non aventi natura privata, operanti su Facebook, VKontacte e Whatsapp, eseguito fino alle perquisizioni del 2019, aveva disvelato non solo .1a creazione di una comunità virtuale internet, denominata “### ### ###” (#.#.#.), caratterizzata da una vocazione ideologica di estrema destra neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione per motivi razziali, etnici e religiosi, ma anche la commissione di plurimi delitti di propaganda di idee on line fondate sull’antisemitismo, il negazionismo, l’affermazione della superiorità della razza bianca nonché incitamenti alla violenza per le medesime ragioni. Dalla medesima attività investigativa nonché da alcune conversazioni telefoniche era emerso che il ### aveva aderito al gruppo ###, anche incontrando di persona alcuni dei principali esponenti (### ###), e si era posto ripetutamente in contatto con le piattaforme social della comunità virtuale, attraverso l’uso di account a lui riconducibili, consentendo, con l’inserimento dei “like“, il rilancio di “post” e dei correlati commenti dal contenuto negazionista ed antisemita. 2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il ###, per il tramite del difensore di fiducia, avv. ### ###, sviluppando due motivi di seguito enunciati nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 604- bis cod. pen. e vizio di motivazione in merito alla ricorrenza della fattispecie delittuosa. Il provvedimento non ha fornito una incisiva replica alle valutazioni difensive sul carattere lacunoso e scarno del compendio indiziario a carico del ###. Ha, infatti, continuato a valorizzare in chiave accusatoria i contatti fisici fra i presunti aderenti all’organizzazione, nonostante siano del tutto irrilevanti alla luce della tipologia dei reati contestati, che sanzionano esclusivamente la propaganda di idee on line e la diffusione di messaggi, nonché l’inserimento di soli “tre like” che costituiscono, al più, un’espressione di gradimento e non sono affatto dimostrativi né dell’appartenenza al gruppo né della condivisione degli scopi illeciti. Il contenuto dei post nei quali il ### ha inserito il “mi piace” non sfocia mai nell’antisemitismo e non travalica i confini della libera manifestazione del pensiero. Nessun messaggio è idoneo ad influenzare il comportamento o la psicologia di un pubblico vasto e a raccogliere adesioni nei termini richiesti dalla giurisprudenza di legittimità, ampiamente richiamata, che ritiene necessario per l’integrazione del reato il pericolo concreto di comportamenti discriminatori. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al ritenuto pericolo di recidiva ed in ### all’adeguatezza della misura cautelare applicata. Il Tribunale ha ritenuto irrilevante lo stato di incensuratezza e non genuina la resipiscenza senza fornire adeguata giustificazione; non ha nemmeno indicato dati concreti ed oggettivi che rendano attuale ed effettiva l’esigenza cautelare di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., finendo per assegnare all’applicata misura natura punitiva e non social preventiva. Non sussiste alcuna correlazione, anche solo logica, fra l’obbligo di firma imposto al ricorrente e l’obbiettivo di evitare che lo stesso commetta ulteriori reati. La peculiarità della posizione del ###, il quale, oltre ad essere incensurato, ha contribuito in maniera assai limitata alla consumazione dei reati, giustificava una diversa valutazione in sede cautelare rispetto agli altri indagati, attinti da precedenti specifici e da un compendio indiziario ben più consistente. CONSIDERATO IN DIRITTO Entrambi i motivi non superano il preliminare vaglio di ammissibilità. 1. Il primo motivo, relativo alla gravità indiziaria, non si confronta criticamente con il reale apparato argomentativo del provvedimento impugnato che, pertanto, risulta essere attinto da censure generiche o comunque tali da sollecitare apprezzamenti di merito, estranei al giudizio di legittimità. Il Tribunale del riesame ha logicamente desunto l’appartenenza del ### alla comunità virtuale, avente gli scopi previsti dalla norma incriminatrice, non solo dai rapporti di frequentazione, fisici e ripetuti, con altri utenti, ma anche dalle sue plurime manifestazioni di adesione e condivisione dei messaggi confluiti sulle bacheche presenti nelle piattaforme Facebook, VKontacte e Whatsapp dal chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza (si pensi all’identificazione degli ebrei come ‘il vero nemico’ o al riferimento alla Shoà come ‘la menzogna più madornale che possano aver inculcato” o all’irrisione delle vittime dei campi di sterminio) e, ai fini tanto dell’integrazione delle condotte di propaganda quanto della individuazione nell’incitamento all’odio quale scopo illecito perseguito del gruppo, ha considerato concreto il pericolo di diffusione dei messaggi tra un numero indeterminato di persone, opportunamente valorizzando la pluralità di social network utilizzati e le modalità di funzionamento di uno di questi, Facebook, incentrate su un algoritmo che attribuisce rilievo anche alle forme di gradimento, i “like“, espressi dall’odierno ricorrente. A quest’ultimo proposito, i giudici della cautela hanno precisato che la diffusione dei messaggi inseriti nelle bacheche “Facebook“, già potenzialmente idonei a raggiungere un numero indeterminato di persone, dipende dalla maggiore interazione con le pagine interessate da parte degli utenti. La funzionalità “newsfeed” ossia il continuo aggiornamento delle notizie e delle attività sviluppate dai contatti di ogni singolo utente è, infatti, condizionata dal maggior numero di interazioni che riceve ogni singolo messaggio. Sono le interazioni che consentono la visibilità del messaggio ad un numero maggiore di utenti i quali, a loro volta, hanno la possibilità di rilanciarne il contenuto. L’algoritmo scelto dal social network per regolare tale sistema assegna, infatti, un valore maggiore ai post che ricevono più commenti o che sono contrassegnati dal “mi piace” o “like“. . Completano, infine, la piattaforma accusatoria le conversazioni telefoniche che delineano la figura del ### quale appartenente alla comunità virtuale. In tale qualità, infatti, egli non solo ha ricevuto consigli per evitare l’acquisizione di prove compromettenti a suo carico (conversazione con ### ### il quale, già destinatario di attività di perquisizione e sequestri, lo esortava ad adottare specifiche misure cautelative per evitare di essere scoperto cancellando chat, rubriche ed altri interventi sul telefonino), ma è stato anche destinatario di specifici commenti da parte di un altro esponente, il ###, il quale aveva manifestato il suo personale compiacimento per la convinta adesione al gruppo da parte del ###. 2. Il secondo motivo, relativo alle esigenze cautelari, è parimenti generico e, comunque, manifestamente infondato. Il pericolo di reiterazione delle condotte delittuose è stato desunto da elementi concreti ed attuali, specificamente indicati, ossia dall’epoca assai recente di consumazione dei reati e della personalità del ###, il quale, ad onta della pregressa incensuratezza e nonostante la professione svolta, non aveva manifestato, nelle conversazioni intercettate, alcuna forma di ripensamento critico neanche dopo essere venuto a conoscenza delle perquisizioni eseguite nei confronti degli altri indagati nel 2019. Anzi, aveva continuato, seppure con maggiore prudenza, a gravitare nel contesto relazionale ed ideologico del movimento. L’adeguatezza della misura dell’obbligo di firma a fronteggiare la delineata esigenza di cautela è stata plausibilmente ancorata alla spinta deterrente esercitata dai periodici contatti con l’autorità di polizia giudiziaria.3. Per quanto esposto, il ricorso manifestamente infondato in tutte le sue deduzioni, va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa nella proposizione di tale impugnazione, anche al versamento di sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo liquidare in euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, in Roma il 6 dicembre 2021”. Così Suprema Corte di Cassazione, Sez. 1 – , Sentenza n. 4534 del 06/12/2021 Cc. (dep. 09/02/2022 ) Rv. 282504 – 01 Presidente: ZAZA CARLO. Estensore: ALIFFI FRANCESCO. Relatore: ALIFFI FRANCESCO. Imputato: ### ###. P.M. GAETA PIETRO. (Conf.) Dichiara inammissibile, TRIB. LIBERTA’ ROMA, 25/06/2021.
L’invio di messaggi su Messenger non è diffamazione senza dolo
In tema di delitti contro l’onore, l’elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell’altrui reputazione ma anche nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Pertanto è necessario che l’autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con tali modalità che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e voglia tale evento.