L’appaltatore risponde nei confronti del committente per i vizi derivanti da errore progettuale, a nulla rilevando che il progetto sia stato predisposto unilateralmente dal committente o da suoi incaricati. Questa affermazione viene tradizionalmente fondata dalla giurisprudenza ormai consolidatissima della Suprema Corte di Cassazione sul rilievo che l’appaltatore, avendo l’obbligo di adempiere la propria prestazione rispettando i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto a prestare la garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori. Va da sé che, ove accanto a quella dell’appaltatore, sussista anche una corresponsabilità del direttore dei lavori o del progettista, tutti costoro risponderanno in solido nei confronti del committente, salve le azioni di regresso sotto il profilo interno dell’obbligazione solidale (Cassazione Civile, Sez. 2, n. 8016/2012, Rv. 622409).
I ‘like’ ad un post discriminatorio su Facebook possono costituire prove sufficienti per considerare il reato di istigazione all’odio razziale.
Integra il reato di cui all’art. 604-bis, comma secondo, cod. pen., l’adesione a una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione, sulle bacheche delle sue piattaforme “social”, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l’inserimento di “like” e il rilancio di “post” e dei correlati commenti, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei “social network”, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti.