La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la sentenza n. 8824 depositata il 7 marzo 2011, ha stabilito la responsabilità penale per diffamazione a carico di un soggetto operante su un forum web politico identificato mediante nick name / pseudonimo ed il numero IP del suo computer. La Suprema Corte ha infatti ritenuto esente da censure nonché supportata da adeguata e articolata argomentazione tecnica la condanna per il reato di diffamazione che la Corte di Appello di Napoli aveva inflitto, su dette motivazioni, ad un utente che, attraverso una utenza telefonica, installata presso la propria abitazione e utilizzando una user-name a lui intestata, si collegava ad un sito web, inserendo stabilmente, nel forum politico, frasi offensive dell’onore e del decoro di un soggetto e della sua famiglia. Nelle suddette condotte non opera nemmeno l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica dal momento che le espressioni offensive consistono non già in un dissenso motivato, espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario e del contraddittore. Quanto all’elemento psicologico del reato di diffamazione, la Corte di Cassazione ribadisce che non è necessaria l’intenzione di offendere l’altrui reputazione (c.d. animus diffamandi), essendo sufficiente la volontà dell’agente di usare parole lesive del bene giuridico, con la consapevolezza di offendere la dignità personale del destinatario delle espressioni.
I ‘like’ ad un post discriminatorio su Facebook possono costituire prove sufficienti per considerare il reato di istigazione all’odio razziale.
Integra il reato di cui all’art. 604-bis, comma secondo, cod. pen., l’adesione a una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione, sulle bacheche delle sue piattaforme “social”, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l’inserimento di “like” e il rilancio di “post” e dei correlati commenti, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei “social network”, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti.