Ai fini del riconoscimento del diritto di risarcimento ai nonni delle vittime da incidente stradale, il mero requisito della non convivenza con la vittima non può ritenersi sic et simplicer requisito determinante ai fini della esclusione “poiché attribuire a tale situazione un rilievo decisivo porrebbe ingiustamente in secondo piano l’importanza di un legame affettivo e parentele la cui solidità e permanenza non possono ritenersi minori in presenza di circostanze diverse, che comunque consentano una concreta effettività del naturale vincolo nonno-nipote: ad esempio, una frequentazione agevole e regolare per prossimità della residenza o anche la sussistenza – del tutto conforme all’attuale società improntata alla continua telecomunicazione – di molteplici contatti telefonici o telematici. A ben guardare, anzi, è proprio la caratteristica suddetta di intenso livello di comunicazione in tempo reale che rende del tutto superflua la compresenza fisica nello stesso luogo per coltivare e consentire un reale rapporto parentale e ciò vale tanto per i nonni verso i nipoti quanto – il che è assai comune oggi, senza peraltro, significativamente, porre in dubbio o in una posizione di deminutio la risarcibilità – per i genitori verso figli che lavorano o studiano in altra città o addirittura all’estero (…) Occorre, pertanto, prescindere da presunzioni generali juris et de jure – che ontologicamente potrebbe imporre, d’altronde, solo il legislatore entro i principi costituzionali e comunitari di tutela del diritti dell’uomo – diversa essendo la modalità operativa dell’interprete, il quale non potrà che utilizzare quale parametro il concreto configurarsi delle relazioni effettive e parentali in ragione di peculiari condizioni soggettive e situazioni di fatto singolarmente valutabili, escludendo ogni carattere risolutivo della convivenza, che costituisce comunque un significativo elemento di valutazione in assenza del quale tuttavia, può comunque dimostrarsi la sussistenza di un concreto pregiudizio derivante dalla perdita del congiunto (…) Del resto la condivisibile esigenza di certezza del diritto vivente nel senso di stornare pretese risarcitorie strumentali (o comunque dirette ad abusare del sistema assicurativo della responsabilità civile laddove è obbligatorio) da parte di soggetti di fatto distanti dalla rete affettiva familiare è già adeguatamente garantita da una corretta gestione della causa in sede di merito per pervenire all’accertamento del diritto risarcitorio, cioè dall’adempimento completo dell’onere probatorio da parte del soggetto che chiede risarcimento e non sussistendo alcuna praesumptio a suo favore – che deve essere dal giudice attentamente verificato”. Così testualmente, Corte Suprema di Cassazione, terza sezione penale, sentenza 4 giugno 2013, n. 29735.

I ‘like’ ad un post discriminatorio su Facebook possono costituire prove sufficienti per considerare il reato di istigazione all’odio razziale.
Integra il reato di cui all’art. 604-bis, comma secondo, cod. pen., l’adesione a una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione, sulle bacheche delle sue piattaforme “social”, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l’inserimento di “like” e il rilancio di “post” e dei correlati commenti, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei “social network”, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti.