«Secondo un primo orientamento di questa Corte (Cass., 22 aprile 2002, n. 5857), la nozione di convivenza rilevante agli effetti di cui si tratta comporta, peraltro, la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di ospitalità, con conseguente esclusione del diritto del genitore ospitante all’assegnazione della casa coniugale in assenza di titolo di godimento della stessa, a prescindere dalla mancanza di autosufficienza economica del figlio, idonea, se mai, ad incidere solo sull’obbligo di mantenimento. In altra, più recente, pronuncia (Cass., 27 maggio 2005, n. 11320), questa Corte ha affermato che al fine di ritenere integrato il requisito della coabitazione, basta che il figlio maggiorenne – pur in assenza di una quotidiana coabitazione, che può essere impedita dalla necessità di assentarsi con frequenza, anche per non brevi periodi, per motivi, ad esempio, di studio – mantenga tuttavia un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, facendovi ritorno ogniqualvolta gli impegni glielo consentano, e questo collegamento, se da un lato costituisce un sufficiente elemento per ritenere non interrotto il rapporto che lo lega alla casa familiare, dall’altro concreta la possibilità per tale genitore di provvedere, sia pure con modalità diverse, alle esigenze del figlio. In virtù di tale indirizzo, la coabitazione non cessa per l’assenza, anche per periodi non brevi, del figlio per ragioni di studio o di lavoro». Così Cassazione civile sez. I, 22 marzo 2012, n. 4555.
I ‘like’ ad un post discriminatorio su Facebook possono costituire prove sufficienti per considerare il reato di istigazione all’odio razziale.
Integra il reato di cui all’art. 604-bis, comma secondo, cod. pen., l’adesione a una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione, sulle bacheche delle sue piattaforme “social”, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l’inserimento di “like” e il rilancio di “post” e dei correlati commenti, per l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei “social network”, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti.