“Muovendo, secondo l’ordine proposto dalla parte attrice, dalle censure afferenti l’usurarietà del tasso di interesse moratorio pattuito inter partes, si osserva quanto segue. In primo luogo, risulta doveroso evidenziare come le relative doglianze, al di là dei copiosi riferimenti giurisprudenziali agglutinati nel corpo dell’atto introduttivo, risultino formulate in maniera oltremodo generica. Sul punto giova ricordare che la S.C. ha precisato che la contestazione in tema di usura deve essere specifica ed analitica, non potendosi genericamente riferire all’indicazione del tasso di interesse, essendo necessario indicare la pattuizione originaria e le somme pagate ogni anno a titolo di interessi, diversamente, la genericità della tesi della parte non consente di ritenere pacifica l’esistenza della usurarietà, risolvendosi nella sollecitazione allo svolgimento di una CTU esplorativa (Cass. ord. n. 2311/2018). Va peraltro debitamente evidenziato come ai fini dell’assolvimento dell’onere di allegazione non possa ritenersi sufficiente il mero rinvio alla perizia di parte senza che i relativi contenuti siano stati doviziosamente esplicitati negli atti (v. Cass. S.U. n. 2435/2008) dal momento che l’onere allegatorio va adempiuto dalla parte all’interno del processo e non mediante richiamo a documenti, come la perizia di parte, di formazione extraprocessuale, le cui risultanze non valgono ad integrare fatti rilevanti ex art. 115 c.p.c.. Sicché laddove la parte che deposita documentazione a corredo di un atto non ne illustri specificamente i contenuti, mostrando i profili per i quali intende avvalersi del documento stesso, di fatto la stessa demanda al giudicante l’onere (non spettante) di colmare il proprio deficit di allegazione, dovendo egli trarre dai documenti i fatti non specificamente dedotti dalla parte. Si rileva, in particolare, come l’attrice non abbia neppure dedotto se gli interessi moratori, della cui pattuizione lamenta la natura usuraria, siano stati in concreto applicati e pagati. Sul punto deve essere richiamata la sentenza n. 19597/2020 delle Sezioni Unite della Cassazione, in cui i giudici di legittimità, pur evidenziando la rilevanza dei tassi moratori in relazione all’applicabilità della disciplina antiusura, sottolineano come ai fini del giudizio di illiceità sia necessario accertare se il tasso moratorio sia stato in concreto applicato e se risulti effettivamente usurario. Nel caso di specie peraltro la risposta appare negativa sotto entrambi i profili. Ed infatti in primis risulta assolutamente dirimente il rilievo del CTU secondo cui interessi moratori non sono stati in concreto mai addebitati all’attore se non per la minima somma di € 174,26 (cfr. elaborato peritale pag. 23). Altrettanto dirimente appare quindi la presenza, nell’ambito dell’articolato contrattuale (cfr. doc. 1 di parte attrice, art. 4), di una specifica clausola di salvaguardia. Ed infatti, in presenza di una tale clausola, la pattuizione è tale per cui la possibilità di superamento del tasso soglia viene di fatto esclusa, sicché il tasso convenzionale di mora resterà ipso facto nel corso del rapporto al di sotto della soglia di legge. Quanto osservato rileva alla luce della giurisprudenza che si è occupata delle questioni di nullità al momento dell’insorgenza del rapporto o nel suo svolgimento nel tempo, ritenendola sussistente in assenza di clausole di salvaguardia (Cass. SS.UU. n. 24675/2017) e, di contro, insussistente in presenza di una clausola stipulata all’origine ed i cui effetti comportino l’abbassamento automatico intra-soglia, così da precludere, con la sua immediata applicazione, il verificarsi di indebiti arricchimenti (cfr. App. Milano n. 313/2020). Sul tema la Suprema Corte, con la pronuncia n. 26286/2019, ha ulteriormente chiarito che: “In tema di rapporti bancari, l’inserimento di una clausola “di salvaguardia”, in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. “tasso soglia” antiusura previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto”. Nel caso di specie, come si è già rilevato, la relativa contestazione risulta del tutto difettante, non avendo la parte attrice in alcun modo dedotto l’intervenuta applicazione di interessi moratori e, men che meno in violazione della clausola suddetta, né dimostrato quale sarebbe l’importo a tale titolo addebitato dalla banca. Questo Giudice è peraltro consapevole dell’esistenza di un orientamento che ha contestato la validità della clausola di salvaguardia nella misura in cui, a suo dire, perseguirebbe la finalità di eludere il precetto imperativo relativo alla pattuizione di interessi usurari. E’, di contro, opinione del Tribunale, alla luce degli insegnamenti di legittimità testé citati, che la clausola di salvaguardia impedisca alla radice il superamento del tasso soglia ai fini del rispetto della normativa in materia di usura, svolgendo la funzione, non solo nel corso di esecuzione del rapporto ma già a monte, ossia nel momento stesso della relativa pattuizione, di sostituire automaticamente – analogamente a quanto avviene a seguito dell’operatività del meccanismo di cui all’art. 1338 c.c. applicabile anche all’art. 1815, comma 2, c.c. Ed infatti, ai sensi dell’art. 1815 c.c., comma 2, “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. La clausola “di salvaguardia”, dunque, assicurando che gli interessi non oltrepassino mai la soglia dell’usura c.d. “oggettiva”, previene il rischio che il tasso convenzionale sia dichiarato nullo e che nessun interesse sia dovuto alla banca. Nondimeno, la clausola in questione non presenta profili di contrarietà a norme imperative. Al contrario, essa è volta ad assicurare l’effettiva applicazione del precetto d’ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari. D’altro canto, in ottemperanza al canone ermeneutico di carattere generale di cui all’art. 1367 c.c., secondo cui “il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”, l’unico modo per salvaguardarne la funzione è quello di ritenerla applicabile già ab origine, senza alcuna distinzione tra il prima e il dopo, e cioè sia allorquando il tasso di interesse pattuito (poco importa se corrispettivo o moratorio) sia superiore a al tasso soglia anti-usura al momento della stipulazione del contratto, sia allorquando divenga tale solo nel corso di esecuzione del rapporto per effetto del meccanismo di rilevazione e di aggiornamento trimestrale legislativamente previsto. In ogni caso, per doverosa completezza, si osserva come l’espletata CTU – che, a stretto rigore, non avrebbe dovuto essere ammessa stante la rilevata genericità delle allegazioni attoree abbia radicalmente escluso la sussistenza di usura pattizia fatta eccezione nella specifica ipotesi di cui ai punti f) e g) del quesito, della quale non può tuttavia tenersi conto per le seguenti motivazioni. Innanzi tutto, per tutte le ragioni testé esposte non avrebbe dovuto darsi corso ad alcuna indagine in relazione alla dedotta usurarietà degli interessi moratori. Si osserva inoltre ad abundantiam come la conclusione raggiunta dall’### in ordine ai punti f) e g) del quesito risulti fondata su presupposti metodologici e giuridici erronei. Ed infatti questo Tribunale ritiene di aderire a quell’orientamento della giurisprudenza di merito, che allo stato pare maggioritario, in base al quale la penale in caso di estinzione anticipata del mutuo per rimborso totale del capitale mutuato è un onere contrattuale che non può ritenersi rilevante ai fini del computo del tasso effettivo globale pattuito tra le parti e, dunque, ai fini della verifica dell’usurarietà originaria del tasso di interesse. Si osserva, in proposito, che nella prassi bancaria è frequente l’inserimento, nelle condizioni economiche di contratto, di commissioni o penali per l’estinzione anticipata del rapporto in caso di recesso unilaterale dell’uno o dell’altro contraente. La penale per l’estinzione anticipata del finanziamento costituisce una remunerazione del capitale, che si sostituisce ad ogni altra forma d’interesse ed è legata però alla facoltà di rimborso anticipato totale o parziale del mutuo e, quindi, all’evenienza della risoluzione anticipata del rapporto. Tale clausola è espressamente prevista contrattualmente nelle condizioni economiche del contratto (cfr. doc. n. 1 attrice), stabilendo il corrispettivo per il diritto di recedere unilateralmente dal contratto. La stessa quindi rappresenta un costo che, riguarda un accadimento del tutto eventuale (e non verificatosi nella specie). Il recesso dal rapporto obbligatorio in essere tra le parti, infatti, rappresenta una fase non fisiologica dell’esecuzione del contratto ed in particolare è legata unicamente alla volontà unilaterale del soggetto che recede dal contratto ovvero la parte mutuataria nel caso de quo. Ciò premesso, pertanto, la commissione per l’estinzione anticipata non integra certamente un compenso legato al finanziamento di natura corrispettiva e, trattandosi di onere destinato a trovare applicazione in via alternativa, mai cumulativa con le clausole di interessi, come invece pare sostenere parte attrice, è impossibile già sul piano logico ipotizzare che il mutuatario possa al contempo pagare gli interessi corrispettivi (o moratori) ed essere chiamato a pagare oneri di estinzione anticipata del contratto di finanziamento. Sempre a tal riguardo, si ritengono poi dirimenti le disposizioni dettate dalla Banca d’Italia nell’ambito delle “istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi – TEGM“, in cui vengono forniti i criteri per il calcolo del TEGM che deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito e sostenute dal cliente. In particolare: “(…) Le penali a carico del cliente previste in caso di estinzione anticipata del rapporto, laddove consentite, sono da ritenersi meramente eventuali, e quindi non vanno aggiunte alle spese di chiusura della pratica (…)”. Pertanto, conformemente a quanto sopra osservato, ai fini della disciplina sull’usura, il costo economico della commissione di estinzione anticipata del mutuo, rientrando tra gli oneri eventuali, la cui applicazione non è automatica, bensì dipendente dal verificarsi dell’esercizio da parte di della facoltà di rimborsare il capitale in anticipo rispetto al termine pattuito nel contratto, non assume rilevanza al fine della verifica dell’usurarietà originaria dei tassi; assumendo peraltro rilievo economico solo allorché si verifichino i presupposti concreti della sua applicazione (cfr. ex multis Tribunale di Bologna del 5.09.2018, Tribunale di Bologna del 31.01.2018 estensore dott. ### e Tribunale di Ferrara del 19.06.2017). A quanto osservato consegue come le relative censure e pretese attoree risultino destituite di fondamento. Parimenti infondate appaiono le argomentazioni dispiegate dalla parte attrice in ordine alla clausola c.d. “floor”. Ed infatti per l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito (v. ex multis Tribunale Rimini, sez. I, 16.6.2022 n. 579; Tribunale Pordenone, 24.4.2020 n. 222; Tribunale Bologna sez. III, 8.2.2018, n. 20123; Tribunale Rovigo 9.9.2018), cui questo giudicante ritiene corretto aderire, l’inserimento di una simile clausola non è sufficiente a snaturare la funzione di finanziamento sottesa ai relativi contratti, attesa la sua evidente e manifesta funzione precipua di evitare una diseconomia per il soggetto finanziatore, il quale ha già “acquistato” e messo a disposizione del cliente la provvista in danaro, mettendola al riparo da fluttuazioni del mercato finanziario nel medio-lungo periodo, che renderebbero l’operazione antieconomica per l’operatore professionale bancario. Trattasi pertanto di una clausola liberamente sottoscritta e di contenuto chiaro e perfettamente determinato, non vietata dall’ordinamento e meritevole d’interesse, in quanto non volta all’acquisizione di un vantaggio illecito, ma perfettamente in linea con l’operazione economica voluta dalle parti. Ne consegue come anche le conclusioni del CTU in relazione al punto h) del quesito non potranno essere tenute in alcuna considerazione in quanto il quesito stesso muove dall’indimostrato -ed a parere di chi scrive errato presupposto dell’illegittimità di tale clausola. Venendo quindi alle doglianze attoree relative alla dedotta mancata coincidenza tra ### pattuito e concretamente verificato in corso di rapporto, le stesse risultano smentite dalle risultanze peritali di cui alla lettera i) del relativo quesito. Più in generale si osserva come gli ulteriori profili di censura afferenti l’indeterminatezza delle condizioni praticate e l’erroneità dell’indicazione di ### risultano parimenti infondati, anche con riguardo alle conclusioni giuridiche che l’attrice pretenderebbe di trarne. In primis appare sufficiente esaminare la contrattualistica versata in atti (v. doc. n. 1 fascicolo attoreo) per avvedersi come il contratto in contestazione, redatto peraltro per atto notarile, recasse la chiara pattuizione dei tassi di interesse così come di ogni altra condizione praticata. La stessa parte attrice ne dà sostanzialmente conto nel proprio atto introduttivo ritrascrivendo il contenuto di ogni pattuizione concernente i tassi ed ogni ulteriore onere economico. L’### incaricato ha parimenti dato conto della completa regolamentazione convenzionale delle condizioni economiche praticate verificandone, altresì, l’effettiva applicazione nel corso dello svolgimento dei rapporti inter partes. Ne consegue l’infondatezza di tale contestazione in quanto il contratto in esame evidenzia ogni parametro relativo a durata, numero di rate, periodicità e decorrenza, l’ammontare dei tassi, il relativo parametro di variabilità; sicché gli elementi del contratto risultano tutti determinati e/o determinabili. Quanto, poi, alle doglianze concernenti la asseritamente erronea indicazione di ### deve premettersi come tali clausole non costituiscano invero un requisito tassativo ed indefettibile del regolamento negoziale. In particolare, secondo quella parte di dottrina e di giurisprudenza di merito, che questo giudicante condivide, i predetti indicatori non hanno alcuna funzione o valore di “regola di validità”, tanto meno essenziale, del contratto poiché sono, appunto, meri indicatori sintetici del costo complessivo dello stesso e non incidono in alcun modo sul contenuto della prestazione a carico del cliente ovvero sulla determinatezza o determinabilità dell’oggetto contrattuale, la quale scaturisce invece dalla pattuizione scritta di tutte le voci di costo negoziali. Trattasi pertanto di indicatori aventi finalità prettamente informativa in termini di trasparenza contrattuale, la cui omissione od inesattezza possono eventualmente rilevare sul differente piano dell’osservanza di regole di comportamento comportando, eventualmente, una mera obbligazione risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale e giammai sanzioni di invalidità. Nello specifico, deve escludersi che l’obbligo, previsto con riferimento alle operazioni di mutuo, di indicazione nel contratto del valore dell’### -che include anche la maggiorazione del tasso effettivo rispetto al tasso nominale sia sanzionato con la nullità della clausola relativa al tasso di interesse, poiché il requisito alla determinatezza del tasso ultralegale deve essere verificato con esclusivo riferimento a tale clausola e non già con riferimento all’indicazione dell’### che ha una finalità meramente indicativa del peso economico dell’operazione. In conclusione, poiché, come appena detto, l’### è un indicatore del costo complessivo del finanziamento, avente lo scopo di mettere il cliente in grado di conoscere il costo totale effettivo del credito che gli viene erogato mediante il mutuo, la sua inesatta indicazione non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto l’erronea rappresentazione del suo costo complessivo, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencati nel contratto; pertanto, stante il suo valore sintetico, l’ISC non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui erronea indicazione è sanzionata dall’art. 117 TUB mediante la sostituzione dei tassi d’interesse normativamente stabiliti a quelli pattuiti (cfr. sul punto la recente Cass. ###/2021). Dunque in definitiva, l’eventuale erronea indicazione dell’### in un contratto non disciplinato dall’art. 125 bis TUB, può unicamente comportare conseguenze risarcitorie, dovendo tuttavia in tal caso il cliente fornire la prova che, ove gli fosse stato correttamente rappresentato il costo complessivo del credito, non avrebbe stipulato il contratto di finanziamento (ad esempio, perché lo avrebbe stipulato con altro intermediario, le cui indicazioni relativamente all’### fossero state veritiere, ma apparentemente superiori – e dunque non concorrenziali – rispetto a quelle erroneamente rappresentate dall’intermediario mutuante). Nel caso di specie, in disparte ogni argomentazione di cui supra, si rileva come difetti il relativo compendio allegatorio in tal senso sicché non può essere presa in considerazione neppure la domanda risarcitoria scaturente dall’asserito difetto di trasparenza imputato all’istituto di credito, peraltro non correttamente, a titolo di responsabilità contrattuale da inadempimento. Anche sotto l’esaminato profilo le censure della parte attrice risultano quindi prive di fondamento. Alla luce di tutti i superiori rilievi le domande di parte attrice vanno, pertanto, integralmente rigettate. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo avuto riguardo ai parametri di cui al D.M. 55/2014 (nella versione vigente alla data dell’udienza di precisazione delle conclusioni tenutasi il 22.9.2022 e quindi ante modifiche apportate dal D.M. 13.8.2022 n. 147, applicabili a far data dal 23.10.2022: cfr. C. S.U. 17405 e 17406/2012 e C. S.U. ###/2022) in relazione al valore della causa (indeterminabile), alla sua natura (media complessità) ed all’attività concretamente prestata. Devono parimenti essere poste definitivamente in capo alla parte attrice le spese di CTU già liquidate mediante separato decreto P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: RIGETTA le domande attoree. CONDANNA altresì la parte attrice a rimborsare alla parte convenuta le spese di lite, che si liquidano in € 10.343,00 per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso forfettario spese generali. PONE le spese di CTU definitivamente a carico della parte attrice. Ancona,11.4.2023″. Così, Tribunale di Ancona, Sentenza n. 391/2023 del 12-04-2023, Giudice/firmatari: Minervini Maria Federica.
THC, dose media singola efficace ed uso personale della sostanza stupefacente nella giurisprudenza del Tribunale di Ancona
“La sostanza stupefacente veniva sottoposta a sequestro. La perquisizione personale, invece, dava esito negativo. A seguito della richiesta di abbreviato condizionato all’analisi quantitativa e qualitativa