“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge” – art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Chi è stato coinvolto in un processo – civile, penale, amministrativo, pensionistico, militare o, in determinate condizioni, tributario – per un periodo di tempo considerato irragionevole, cioè troppo lungo, può richiedere alla Amministrazione della Giustizia una equa riparazione.
Ai sensi dell’art. 2-bis della legge 24 marzo 2001, n. 89 (meglio conosciuta come “legge Pinto”), così come introdotto dal D.L. 83/2012, si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. Ai fini del computo della durata il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione. Si considera rispettato il termine ragionevole se il procedimento di esecuzione forzata si e’ concluso in tre anni, e se la procedura concorsuale si e’ conclusa in sei anni. Il processo penale si considera iniziato con l’assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero quando l’indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari. 2-ter. Si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni”.
In buona sostanza, oltre detti periodi di tempo, il cittadino ha diritto ad una equa riparazione in denaro per la eccessiva durata del processo.
Le misure dell’indennizzo sono previste dalla legge, in una “somma di denaro, non inferiore a 500 euro e non superiore a 1.500 euro, per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo. L’indennizzo e’ determinato a norma dell’articolo 2056 del codice civile, tenendo conto: a) dell’esito del processo nel quale si e’ verificata la violazione di cui al comma 1 dell’articolo 2; b) del comportamento del giudice e delle parti; c) della natura degli interessi coinvolti; d) del valore e della rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte. 3. La misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non puo’ in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice».
L’indennizzo va chiesto con ricorso alla Corte d’Appello territorialmente competente, individuata in base ad una apposita tabella, che provvede sulla domanda di equa riparazione con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso. La domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento e’ divenuta definitiva.
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