L’obbligatorietà della vaccinazione anti CODIV-19 in Italia
L’obbligatorietà della vaccinazione anti COVID-19 introdotta dall’articolo 4 del decreto legge 44 del 2021 per tutte le professioni e gli operatori del comparto sanitario – espressamente definita dal legislatore quale “requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese” da “operatori di interesse sanitario che svolgono le attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali” -, unitamente alla introduzione del c.d. Green Pass, anticostituzionale per molti e l’estensione di tale obbligo vaccinale in forza del decreto legge 172 del 2021 “alle seguenti categorie:
a) personale scolastico del sistema nazionale di istruzione, delle scuole non paritarie, dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti, dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale e dei sistemi regionali che realizzano i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore;
b) personale del comparto della difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, nonché degli organismi di cui agli articoli 4, 6 e 7 della legge 3 agosto 2007, n. 124;
c) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all’articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4 e 4 -bis ;
d) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa alle dirette dipendenze del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, all’interno degli istituti penitenziari per adulti e minori”
nonché la prossima estensione a tutti gli over 50, ha riacceso in Italia il dibattito sulla c.d. compatibilità dei vaccini obbligatori con la nostra Carta Costituzionale.
L’art. 32 Costituzione
A questa domanda, in linea di principio, dovremmo innanzitutto partire dal preciso tenore letterale dell’art. 32 della Costituzione.
Art. 32 Cost. – La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Dunque, secondo la nostra Costituzione, la salute non è soltanto un “diritto dell’individuo“, ma è anche un “interesse della collettività“.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale
Su questo presupposto, ribadiamo, in linea di principio, la Corte Costituzionale ha sempre dato una doppia chiave di lettura a detta norma costituzionale sul quale partire: da un lato la tutela del cittadino, il suo diritto alla salute e il suo diritto di autodeterminarsi (c.d. libertà di scegliere le cure); dall’altro, l’interesse pubblico e collettivo alla salute che, per l’effetto, può comportare l’obbligo per i singoli ad essere sottoposti a trattamenti sanitari ma a due condizioni: disposti in forza di legge (c.d. riserva di legge) e nei limiti imposti dal rispetto della persona umana.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 5/2018 – Rel. Cartabia
A tal proposito, respingendo un ricorso della Regione Veneta, la sentenza della Corte Costituzionale n. 5/2018 – Rel. Cartabia ha a tal proposito statuito che: “la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l’interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai loro compiti di cura (ex multis, sentenza n. 258 del 1994).
I valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni
In particolare, questa Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).
Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’art. 32 Cost.), anche l’interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell’esercizio del diritto-dovere dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt. 30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore (sul punto, ad esempio, ordinanza n. 262 del 2004).
Il contemperamento dei diritti
Il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002).
Il diritto comparato
Anche nel diritto comparato si riscontra una varietà di approcci. Posto un generale favor giuridico per le politiche di diffusione delle pratiche vaccinali – basate sulle evidenze statistiche e sperimentali delle autorità competenti e specialmente dell’OMS, che considerano la vaccinazione una misura indispensabile per garantire la salute individuale e pubblica – diversi sono gli strumenti prescelti dai vari ordinamenti per conseguire gli obiettivi comuni.
A un estremo, si trovano esperienze che ancora di recente hanno conosciuto obblighi vaccinali muniti di sanzione penale (Francia); all’estremo opposto si trovano programmi promozionali massimamente rispettosi dell’autonomia individuale (come nel Regno Unito); nel mezzo, si ravvisa una varietà di scelte diversamente modulate, che comprendono ipotesi in cui la vaccinazione è considerata requisito di accesso alle scuole (come avviene negli Stati Uniti, in alcune Comunità autonome in Spagna e tuttora anche in Francia) ovvero casi in cui la legge richiede ai genitori (o a chi esercita la responsabilità genitoriale) di consultare obbligatoriamente un medico prima di operare la propria scelta, a pena di sanzioni pecuniarie (Germania).
Peraltro, questa diversa intensità di vincoli si accompagna a una altrettanto varia individuazione del numero dei vaccini proposti o richiesti.
In molti paesi, peraltro, è in corso un dibattito sulle politiche vaccinali, teso alla ricerca degli strumenti giuridicamente più efficaci in vista del condiviso obiettivo di proteggere la salute dalle malattie infettive e da quelle che possono comportare gravi complicanze, contenibili attraverso la vaccinazione preventiva.
L’evoluzione della legislazione italiana tra obbligo e raccomandazione
8.2.3.– Anche l’evoluzione della legislazione italiana in materia registra il susseguirsi di politiche vaccinali di vario segno, sicché a fasi alterne l’accento è di volta in volta caduto più sull’obbligo o sulla raccomandazione (come si evince da quanto supra esposto nel punto 3.4. del Considerato in diritto).
Vero è che verso la fine degli anni novanta, in concomitanza con l’accentuarsi di una più spiccata sensibilità per i diritti di autodeterminazione individuale anche in campo sanitario, sono state privilegiate le politiche vaccinali basate sulla sensibilizzazione, l’informazione e la persuasione, piuttosto che sull’obbligo, garantendo comunque che tutte le vaccinazioni fossero oggetto di offerta attiva, rientrassero nei livelli essenziali delle prestazioni e fossero somministrate gratuitamente a tutti i cittadini secondo le cadenze previste dai calendari vaccinali. In questo contesto, in alcune Regioni, in via sperimentale, si è sospeso l’obbligo di vaccinazione, come è accaduto ad esempio proprio in Veneto con la legge regionale n. 7 del 2007.
Tuttavia, negli anni più recenti, si è assistito a una flessione preoccupante delle coperture, alimentata anche dal diffondersi della convinzione che le vaccinazioni siano inutili, se non addirittura nocive: convinzione, si noti, mai suffragata da evidenze scientifiche, le quali invece depongono in senso opposto. In proposito, è bene sottolineare che i vaccini, al pari di ogni altro farmaco, sono sottoposti al vigente sistema di farmacovigilanza che fa capo principalmente all’Autorità italiana per il farmaco (AIFA). Anche per essi, come per gli altri medicinali, l’evoluzione della ricerca scientifica ha consentito di raggiungere un livello di sicurezza sempre più elevato, fatti salvi quei singoli casi, peraltro molto rari alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, nei quali, anche in ragione delle condizioni di ciascun individuo, la somministrazione può determinare conseguenze negative. Per tale ragione l’ordinamento reputa essenziale garantire un indennizzo per tali singoli casi, senza che rilevi a quale titolo – obbligo o raccomandazione – la vaccinazione è stata somministrata (come affermato ancora di recente nella sentenza n. 268 del 2017, in relazione a quella anti-influenzale). Anzi, paradossalmente, proprio il successo delle vaccinazioni, induce molti a ritenerle erroneamente superflue, se non nocive: infatti, al diminuire della percezione del rischio di contagio e degli effetti dannosi della malattia, in alcuni settori dell’opinione pubblica possono aumentare i timori per gli effetti avversi delle vaccinazioni.
A fronte di tali fenomeni, il dibattito sull’opportunità di ripristinare l’obbligo di vaccinazione è rimasto aperto in varie sedi. A questo tema, hanno fatto cenno, come già rilevato, il CNB nel 2015 e anche il PNPV 2017-2019. Hanno inoltre espresso argomenti e posizioni in linea con le valutazioni presupposte dal d.l. n. 73 del 2017 l’Accademia nazionale dei Lincei (nel rapporto «I Vaccini» del 12 maggio 2017), prima dell’emanazione del decreto-legge, e l’ISS, nell’ambito dell’istruttoria parlamentare sul disegno di legge di conversione. Inoltre, dopo la comunicazione al pubblico dell’approvazione del medesimo decreto-legge, hanno manifestato favore per l’impostazione di quest’ultimo (chiedendo, anzi, misure più incisive per garantirne l’effettività) quattro associazioni scientifiche e professionali (la Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica; la Società italiana di pediatria; la Federazione italiana dei medici pediatri e la Federazione italiana dei medici di medicina generale), da tempo attive con specifiche pubblicazioni e proposte nel settore della politica vaccinale. Nel corso dell’istruttoria, come pure si è già detto, ha anche manifestato favore per le iniziative delle istituzioni italiane l’OMS, richiamando alcuni dei propri programmi in materia vaccinale (Global Vaccine Action Plan 2011-2010; Measles and Rubella Global Strategic Plan 2012-2020; European Vaccine Action Plan 2015-2020). Significativo è anche il fatto che, nel corso dei lavori parlamentari, la Conferenza unificata si sia espressa favorevolmente su quanto previsto dalla normativa ora in esame, pur con richieste di alcuni adattamenti, in parte avvenuti in sede di conversione («Parere, ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 197, n. 281, sul disegno di legge per la conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale», repertorio atti n. 71/CU del 6 luglio 2017), pronunciandosi quasi all’unanimità (con l’eccezione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e della Regione Veneto, appunto). In analoga direzione, del resto, si erano precedentemente mosse alcune iniziative legislative regionali, come già rilevato.
8.2.4.– Si assiste, dunque, oggi a una inversione di tendenza – dalla raccomandazione all’obbligo di vaccinazione – in cui si inserisce anche la normativa oggetto del presente giudizio. Valutata alla luce del contesto descritto nei suoi tratti essenziali, la scelta del legislatore statale non può essere censurata sul piano della ragionevolezza per aver indebitamente e sproporzionatamente sacrificato la libera autodeterminazione individuale in vista della tutela degli altri beni costituzionali coinvolti, frustrando, allo stesso tempo, le diverse politiche vaccinali implementate dalla ricorrente. Il legislatore, infatti, intervenendo in una situazione in cui lo strumento della persuasione appariva carente sul piano della efficacia, ha reso obbligatorie dieci vaccinazioni: meglio, ha riconfermato e rafforzato l’obbligo, mai formalmente abrogato, per le quattro vaccinazioni già previste dalle leggi dello Stato, e l’ha introdotto per altre sei vaccinazioni che già erano tutte offerte alla popolazione come “raccomandate”. Non è corretto, dunque, affermare – come fa la ricorrente – che la legge ha repentinamente introdotto dal nulla l’imposizione di un ampio numero di vaccinazioni; essa ha invece innovato il titolo giuridico in nome del quale alcune vaccinazioni sono somministrate, avendo reso obbligatorio un certo numero di vaccinazioni che in precedenza erano, comunque, già raccomandate.
Indubbiamente, il vincolo giuridico si è fatto più stringente: ciò che in precedenza era raccomandato, oggi è divenuto obbligatorio. Ma nel valutare l’intensità di tale cambiamento – ai fini del giudizio sulla ragionevolezza del bilanciamento operato dal legislatore con il decreto-legge n. 73 del 2017 e della conseguente compressione dell’autonomia regionale – occorre peraltro tenere presenti due ordini di considerazioni.
La “raccomandazione” in ambito medico
Il primo è che nell’orizzonte epistemico della pratica medico-sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo (tanto che sul piano del diritto all’indennizzo le vaccinazioni raccomandate e quelle obbligatorie non subiscono differenze: si veda, da ultimo la sentenza n. 268 del 2017). In quest’ottica, occorre considerare che, anche nel regime previgente, le vaccinazioni non giuridicamente obbligatorie erano comunque proposte con l’autorevolezza propria del consiglio medico.
Il secondo è che nel nuovo assetto normativo, basato, come si è detto sull’obbligatorietà (giuridica), il legislatore in sede di conversione ha ritenuto di dover preservare un adeguato spazio per un rapporto con i cittadini basato sull’informazione, sul confronto e sulla persuasione: in caso di mancata osservanza dell’obbligo vaccinale, l’art. 1 comma 4 del decreto-legge n. 73 del 2017, come convertito, prevede un procedimento volto in primo luogo a fornire ai genitori (o agli esercenti la potestà genitoriale) ulteriori informazioni sulle vaccinazioni e a sollecitarne l’effettuazione. A tale scopo, il legislatore ha inserito un apposito colloquio tra le autorità sanitarie e i genitori, istituendo un momento di incontro personale, strumento particolarmente favorevole alla comprensione reciproca, alla persuasione e all’adesione consapevole. Solo al termine di tale procedimento, e previa concessione di un adeguato termine, potranno essere inflitte le sanzioni amministrative previste, peraltro assai mitigate in seguito agli emendamenti introdotti in sede di conversione.
Le condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche
8.2.5.– Nel presente contesto, dunque, il legislatore ha ritenuto di dover rafforzare la cogenza degli strumenti della profilassi vaccinale, configurando un intervento non irragionevole allo stato attuale delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche. Nulla esclude che, mutate le condizioni, la scelta possa essere rivalutata e riconsiderata. In questa prospettiva di valorizzazione della dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario, il legislatore – ai sensi dell’art. 1, comma 1-ter del decreto-legge n. 73 del 2017, come convertito – ha opportunamente introdotto in sede di conversione un sistema di monitoraggio periodico che può sfociare nella cessazione della obbligatorietà di alcuni vaccini (e segnatamente di quelli elencati all’art. 1, comma 1-bis: anti-morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella). Questo elemento di flessibilizzazione della normativa, da attivarsi alla luce dei dati emersi nelle sedi scientifiche appropriate, denota che la scelta legislativa a favore dello strumento dell’obbligo è fortemente ancorata al contesto ed è suscettibile di diversa valutazione al mutare di esso.
Peraltro, non si può fare a meno di rilevare che tale strumento di flessibilizzazione si applica solo a quattro dei dieci vaccini imposti obbligatoriamente dalla legge. Analoghe variazioni nelle condizioni epidemiologiche, nei dati relativi alle reazioni avverse e alle coperture vaccinali potrebbero suggerire al legislatore di prevedere un analogo meccanismo di allentamento del grado di coazione esercitabile anche in riferimento alle sei vaccinazioni indicate al comma 1, dell’art. 1 (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, antipertosse, anti Haemophilus influenzae tipo b)”.
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